Siamo sicuri che i grani antichi sono più salutari e più adatti ai celiaci?

grani antichi

Leggiamo spesso che i grani antichi sono più salutari e contengono meno glutine, ma siamo sicuri che questo sia vero o si tratta solo di una nuova moda?

I grani antichi sono veramente migliori di quelli moderni da un punto di vista nutrizionale? Le persone intolleranti al glutine e i celiaci possono consumare queste varietà di grano senza problemi ?

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) smentisce queste affermazioni. Non ci sono prove scientifiche sufficienti per ritenere che le varietà di grano coltivate circa un secolo fa, pubblicizzate come grani antichi, recentemente reintrodotte in commercio, abbiano proprietà nutrizionali che le rendono preferibili ai grani moderni e che siano adatte ai soggetti celiaci.

Quali sono i grani antichi?

I grani Tumminia, Saragolla, Senatore Cappelli, Russello, Bidì, Biancolilla, Ardito, Maiorca e Perciasacchi sono alcune varietà di grani antichi che sono tornati prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni, presentati come grani italiani più autentici, meno raffinati, più digeribili e meno ricchi di glutine rispetto al grano attualmente coltivato su larga scala o contro il tanto vituperato grano di provenienza estera. Il grano Senatore Cappelli, ad esempio, è una cultivar di grano antico duro autunnale ottenuta dal genetista Nazareno Strampelli a Foggia nel 1915, grano molto pubblicizzato nell’ultimo decennio, in alcuni casi proposto come alimento più adatto per la celiachia.

Questi tipi di grano sono caratterizzati visivamente dall’avere un fusto più alto rispetto ai grani moderni. Queste varietà di grano, ampiamente coltivate nei primi decenni del secolo scorso, sono successivamente quasi del tutto scomparse in quanto, producendo rese troppo basse, sono risultate poco adatte alle coltivazioni intensive e con un contenuto di proteine e glutine al limite per la fabbricazione della pasta italiana di qualità.

Come riportato nell’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità che potete leggere qui:

La scelta commerciale comprensibile di rinnovare, guardando al passato, il campo della cerealicultura oggi in crisi, ha lasciato spazio alla diffusione di alcuni falsi miti, talvolta utilizzati per giustificare costi di vendita piuttosto alti di questi prodotti.

Ecco le riposte sui grani antichi dell’Istituto Superiore di Sanità punto per punto:

I grani antichi italiani sono più autentici perchè non hanno subito una selezione genetica

Falso. Pur non essendo modificati geneticamente in laboratorio, anche i grani antichi, così come quelli moderni, sono stati spesso selezionati mediante incroci ed ibridazioni, spesso a partire da varietà presenti in altri paesi del mediterraneo. È il caso della varietà Jeanh Rhetifah di origine tunisina da cui ebbe origine la famosa varietà Senatore Cappelli, oppure degli incroci del grano “Rieti” con una specie olandese ed una giapponese, per ottenere il più resistente “Ardito”.

I grani antichi hanno meno glutine e quindi sono più adatti ai celiaci

Falso. Diversi articoli scientifici hanno studiato la composizione ed il potenziale allergenico del glutine dei grani antichi rispetto a quelli più recenti, ma i risultati ottenuti sono stati contraddittori. Allo stesso modo, sebbene un limitato numero di ricerche condotte in modelli sperimentali o sull’uomo abbiano rivelato un potenziale effetto benefico dei grani antichi su alcuni parametri cardio-metabolici ed infiammatori, la letteratura non è ancora unanime nel riconoscere queste proprietà.  Non è quindi possibile concludere che il consumo dei derivati dai grani antichi possa ridurre il rischio di sviluppare patologie croniche.

I grani antichi sono più salubri perché non necessitano di diserbanti e concimi oppure sono meno raffinati perché le loro farine vengono macinate a pietra

Anche questo è marketing. Le modalità di coltivazione e il tipo di macinazione poco hanno a che fare con le varietà di grano, ma dipendono da scelte aziendali dei produttori. L’offerta dei grani antichi viene spesso proposta da piccoli produttori particolarmente attenti a garantire condizioni ottimali di coltivazione e manipolazione delle materie prime. Ma questa tipologia di lavorazione è possibile farla con qualsiasi tipo di grano.

Che la questione di questa superiorità dei grani antichi sia una bufala non è solo l’Istituto Superiore di Sanità a dirlo. C’è un’ampia sezione sull’argomento anche su Il fatto alimentare, ci sono anche altre autorevoli fonti come Dario Bressanini nel suo blog Le Scienze. Anche un articolo pubblicato su Nature dove un team di ricercatori del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) studiando l’interazione tra quattro importanti fattori della panificazione (genotipo di frumento, tecnica di macinazione, agente lievitante e tipo di cottura) ha concluso che la convinzione che il pane di grano antico abbia un sapore o un odore migliore, rispetto a quello del grano moderno, appare destituita di fondamento.

Relativamente alla semola di grano duro per la pasta, l’Italia non ha mai prodotto sufficienti quantitativi di grano per soddisfare le richieste del mercato. Il nostro ruolo di leader mondiale del mercato della pasta ci ha posto, da sempre, tra i Paesi con maggiore fabbisogno di grano duro: attualmente, utilizziamo 5,8 milioni di tonnellate annui, 1/6 della produzione mondiale. Per raggiungere queste quantità mancano alla produzione nazionale circa 2 milioni di tonnellate di materia prima l’anno, stiamo parlando di un deficit strutturale di grano di circa 30-40% a seconda dell’andamento climatico stagionale. Il principale fornitore di grano duro è l’Italia, da dove i pastai oggi acquistano circa il 70% del fabbisogno (in pratica, tutto il grano duro nazionale, mantenendo di fatto in vita la filiera). Se venisse prodotta pasta con il solo grano nazionale, gli italiani dovrebbero rinunciare a 3 piatti di pasta su 10 e perderemmo il primato di leader mondiale di produzione ed esportazione di pasta, con danni enormi al settore e agli altri comparti trainanti dell’export agroalimentare della pasta, quali olio, formaggio e pomodoro.


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Come conclude l’ISS, sicuramente i grani antichi rappresentano un’importante risorsa per conservare la biodiversità agroalimentare e recuperare le tradizioni culturali del nostro paese. Ma alla luce dei dati attualmente disponibili, non esiste la certezza che i grani antichi debbano essere preferiti a quelli moderni per tutelare la nostra salute. La comprensibile scelta commerciale di rinnovare l’assortimento, seguendo la moda di un ritorno al passato,  ha lasciato spazio alla diffusione di alcuni falsi miti, purtroppo spesso utilizzati per giustificare costi di vendita più alti.