Il Conciato Romano, il “tartufo bianco” del sud

conciato romano tartufo bianco del sud

Si chiama Conciato Romano, ma non ha nulla a che vedere con il pecorino e si produce solo in Campania. Di origine antichissima, addirittura sembra che sia il formaggio più antico del mondo.

Questa è la storia del formaggio resuscitato. Una storia plurisecolare che circonda il Conciato Romano. Infatti, le tecniche con cui viene prodotto il Caso Conzato (appellativo che gli viene dato proprio per la complessità del trattamento a cui sono sottoposte le forme, “conciate” per l’affinamento), risalgono all’epoca pre-romana e pre-etrusca, forse sannita; insomma, pratiche antichissime, appartenenti agli albori della civiltà agricola.

L’unica zona in cui si produce è Castel di Sasso, in provincia di Caserta, tra i monti Trebulani. Un equivoco attribuisce la sua origine al Comune di Pontelatone, ma sembra che un tale lo acquistasse dall’unica produttrice a Castel di Sasso, Liliana Lombardi, e che lo vendesse spacciandolo come suo. Proprio qui, infatti, la perseveranza della famiglia Lombardi ha reso possibile rinnovare un interesse che rischiava di andare perduto, tanto da far aggiudicare la tutela del Conciato Romano dal Presidio Slow Food, primo prodotto della provincia di Caserta a farne parte.

Qual è la sua origine?

Non si hanno notizie certe, ma il Conciato Romano è tra i formaggi più antichi d’Italia. Le tecniche di affinamento e conservazione in anfora infatti, denotano origini della produzione risalenti agli albori della civiltà agropastorale. Potrebbe essere l’antico formaggio trebulano, citato negli epigrammi di Marziale, che descrive la rottura della cagliata con le mani, e che si ritrova negli scritti di Cicerone.

Il suo nome deriva dalla tecnica della “concia”. In passato, infatti, il formaggio era cunzato, cioè condito con aceto di vino ed olio e poi riposto nelle olle o nelle anfore. È stato poi aggiunto l’appellativo “romano” dopo ritrovamenti di giacimenti romani avvenuti tempo dopo. Viene definito, insieme al formaggio di fossa, formaggio resuscitato, perché dopo la stagionatura, che dura minimo sei mesi, in condizioni anaerobiche per subire una rifermentazione, al buio nelle anfore (o in grotte sotterranee, nel caso del formaggio di fossa), è come se tornassero alla luce.

Come si produce il Conciato Romano?

Il periodo migliore per la produzione va da novembre fino a giugno. Si utilizza il caglio di capretto o di agnello. Si unisce al latte tiepido a bagnomaria. Dopo che si è rappreso, si rompe la cagliata e si tiene ancora in acqua tiepida per un’altra mezz’ora. Fatto ciò, la rottura viene poi disposta a colare in fuscelle di plastica (che sostituisce per obbligo igienico-sanitario il giunco). Si sala un lato e dopo dodici ore l’altro lato. Tolte dalle fuscelle, le forme di formaggio ottenute sono poi disposte nei casali di faggio ad asciugare, riparate da una rete metallica.

Una volta asciutto, il Conciato Romano è lavato con l’acqua di cottura delle pettole, una pasta tipica locale fatta in casa, e questo perché l’amido rilasciato nell’acqua è un antibatterico naturale. Di nuovo messe ad asciugare, le forme sono poi conciate con olio, aceto, peperoncino e pimpinella (erba aromatica selvatica della zona) e riposte nelle olle e sigillate per un periodo variabile tra i sei mesi e i due anni. La lavorazione, in tutte le sue fasi, è fatta esclusivamente a mano.

Come si riconosce il Conciato Romano?

È di piccole dimensioni e di forma cilindrica. La crosta è di un colore variabile dall’ocra al bianco, leggermente cremosa, mentre la pasta, dura, è di un colore giallo intenso. È caratterizzato da una forte riduzione olfattiva. Al naso presenta sensazioni alcoliche e di frutta matura. Se stagionato per più tempo presenta una piccantezza molto acuta, e una forte personalità a cui non tutti sanno tener testa. In bocca è un’esplosione di sapori, un caleidoscopio di emozioni, apparentemente aggressive che poi via via si vanno armonizzando.


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Qualche curiosità

Amato da Luigi Veronelli, che ne aveva appreso grazie a Manuela Piancastelli che in un bellissimo articolo del 2006 lo aveva definito: “un formaggio estremo: mi ricorda insieme formaggi di fossa e erborinati stravecchi”. Veronelli lo aveva assaggiato in una passeggiata sul territorio accompagnato dall’indimenticabile Luciano Di Meo. Il Conciato Romano viene definito anche Tartufo bianco del Sud, sia per il valore che per l’intensità. Ne basta infatti veramente poco per arricchire primi piatti, come gli scialatielli con la zucca. Oppure come lo utilizza la chef stellata Rosanna Marziale del ristorante “Le Colonne” a Caserta, grattugiato sullo Scarpariello, un piccolo timballo di bucatini spezzati e pomodori grigliati. Anche la pizza non poteva non omaggiare il Conciato Romano. Gino Sorbillo ha proposto una variante abbinandolo ai pomodori gialli del Vesuvio, mentre i fratelli Salvo lo abbinano sulla pizza con le Papaccelle, sempre del Vesuvio.

…e ancora

Nel 2012 il Caso Conzato ha ricevuto il premio Fuoriclasse Gambero Rosso, concesso solo a 17 formaggi su 316 formaggi italiani selezionati.

I produttori del Conciato Romano, la famiglia Lombardi dell’azienda agricola Le Campestre, a cui si deve l’esistenza in vita, si sono a lungo battuti affinché la produzione del formaggio casertano rimanesse invariata, ovvero che si continuassero ad usare le anfore per la stagionatura e che fosse bandito il latte in polvere in sostituzione del latte ovino, come leggi della Comunità Europea paventavano.

Il cibo è l’identità di un luogo, e il Conciato Romano è la cultura di Castel di Sasso, è il paesaggio, la storia e la tradizione, e come tale va tutelato e raccontato, soprattutto ai giovani, i futuri custodi della memoria.


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