Perché l’Italia ha solo da perdere dalla rottura del CETA? 4 buoni motivi

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Il Parlamento italiano si appresta a respingere il CETA, ovvero l’accordo commerciale di libero scambio tra UE e Canada, in vigore in via provvisoria dal 21 settembre 2017. Siamo sicuri che la “cura” del Governo non sia peggiore del presunto “male”?

Il neo ministro dell’Agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio, in una recente intervista al quotidiano La Stampa ha dichiarato che, come previsto dal contratto di governo Lega – Movimento 5 Stelle, l’Italia non ha intenzione di ratificare il CETA (il trattato di libero scambio con il Canada) “perché tutela solo una piccola parte dei nostri prodotti Dop e Igp”. L’opposizione di uno qualsiasi dei 27 paesi membri dell’Unione Europea avrebbe come effetto quello di far saltare l’intero trattato.

Come argomentato ottimamente dal sito web Next Quotidiano, alla luce dei fatti ci sono almeno 4 buoni motivi per cambiare idea e restare nel CETA

1) l’elenco delle eccellenze italiane incluse nell’accordo è sufficiente per le nostre reali necessità

Nel patto bilaterale CETA, il Canada accetta di riconoscere e tutelare 41 indicazioni geografiche italiane (DOP/IGP). I detrattori di questo accordo (l’attuale Governo e Coldiretti) obiettano che queste siano solo una piccola porzione delle 295 Dop/Igp/Stg eccellenze food Made in Italy. In linea di principio hanno ragione, anche se verrebbe da dire piuttosto che niente è meglio piuttosto, ma analizzando l’elenco dei prodotti riconosciuti dal CETA comprendiamo che si tratta dei prodotti tipici italiani più famosi, più venduti e più soggetti a imitazione. Ma cosa ancora più importante, come abbiamo riportato in un precedente articolo di questi 41 prodotti, i primi 10 prodotti agroalimentari esportati (tutti compresi nell’elenco) producono un valore pari al 79% del fatturato complessivo dell’export! Pertanto, se calcoliamo il valore totale dell’export dei 41 prodotti riconosciuti, ci rendiamo conto che quelli esclusi, nonostante siano molti, di fatto non sono esportati o generano un valore assolutamente residuale. Anche perché, alcuni di queste grandi eccellenze, essendo prodotti di nicchia, hanno una produzione tale che gli consente a malapena di soddisfare il mercato interno e qualche centinaia di facoltosi clienti all’estero.

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2) con l’interruzione del CETA si favorirebbe ulteriormente il fenomeno Italian Sounding in Canada

La principale motivazione dei detrattori degli accordi di libero scambio è la volontà di proteggere e tutelare le nostre eccellenze e il lavoro degli agricoltori italiani. La verità è che cancellando l’accordo, anziché proteggere il cibo italiano si favorisce invece l’Italian sounding. Infatti, senza un patto di tutela, che almeno protegge 41 prodotti di origine italiana, (ripetiamo che stiamo parlando dei prodotti agroalimentari italiani più esportati e conosciuti all’estero) si lascia la possibilità ad aziende locali ed estere di continuare a commercializzare prodotti fatti altrove spacciandoli per originali Made in Italy.
Proprio in Canada c’è un famoso esempio che riguarda il Prosciutto di Parma, infatti il nome “Parma” è un marchio registrato di proprietà della società canadese Maple Leaf. Da oltre 20 anni, il Prosciutto di Parma originale italiano era infatti venduto in Canada come “The Original Prosciutto”, per differenziarsi dall’imitazione locale. Proprio grazie al Ceta, il Consorzio ha potuto legittimamente riappropriarsi del nome. Tutto questo scomparirebbe, con buona pace di coloro che si battono per la tutela dei produttori dell’original italian food.


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3) grazie al CETA le esportazioni agroalimentari italiane verso il Canada sono in crescita

A giudicare dai dati, il Ceta è partito alla grande. Come confermato da Cecilia Malmström (Commissaria UE al Commercio) le esportazioni italiane in Canada sono aumentate del +8% dallo scorso settembre. Anche la Confederazione italiana agricoltori (CIA) ha registrato un aumento delle esportazioni di alcuni prodotti del +9%. E anche i dati provvisori del MISE, rispetto al periodo gennaio-febbraio 2018, rilevavano un incremento pari al 10% delle esportazioni verso il Canada rispetto allo stesso periodo del 2017.

4) la tanto temuta invasione del grano canadese non è accaduta

Contrariamente ai timori di Coldiretti e della Lega, la stessa Cia evidenziava come tra ottobre e dicembre 2017 le importazioni di grano canadese fossero diminuite del 35% e successivamente anche ad aprile il trend è uguale. L’ufficio studi della CIA nei primi quattro mesi del 2018 dimostra il continuo calo delle importazioni di grano canadese (-46%) e l’aumento del +12% delle esportazioni agroalimentari italiane verso il Canada. Dalle analisi della Cia-Confagricoltori, se la tendenza dovesse essere confermata per la fine del 2018 l’export agroalimentare Made in Italy diretto al Canada potrebbero avere un valore di circa 910 milioni di euro.

Prima del CETA il Canada non riconosceva le nostre indicazioni geografica di qualità Dop e Igp che oggi grazie al trattato riconosce e protegge. A conti fatti il CETA è il primo vero accordo internazionale contro l’Italian sounding con un impegno concreto di un governo straniero. Alla luce dei risultati, possiamo ritenere una scelta saggia recedere dall’accordo?


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