Perché le vertical farm sono una minaccia per la biodiversità?

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Vertical Farm, le serre verticali dove si coltiva frutta e verdura in idroponica, aeroponica, acquaponica, per molti rappresentano il futuro delle coltivazioni, scopriamo perché potrebbero essere una minaccia per la biodiversità italiana

Molti ancora si chiedono cos’è l’agricoltura verticale o vertical farm?

L’agricoltura verticale è una tecnica di coltivazione agricola in serre molto tecnologiche che include la disposizione delle colture in strati sovrapposti verticalmente, sfruttando appunto lo spazio in verticale. In queste speciali serre hi-tech la temperatura, la luce, l’umidità e l’acqua sono controllate artificialmente ricreando un ecosistema che rende possibile la produzione di frutta e verdura anche in un ambiente chiuso. I sistemi di coltivazione nelle vertical farm sono essenzialmente tre: idroponica, aeroponica e acquaponica.
Analizziamo le differenze.

Che cos’è l’idroponica?

La coltivazione idroponica è un metodo di coltivazione senza terreno che si pratica utilizzando soluzioni nutritive minerali disciolte nell’acqua. Le piante, infatti, non hanno necessariamente bisogno di terra, ma possono essere coltivate con le sole radici immerse nel liquido nutritivo costituito da sostanze naturali, sostenute da un substrato inerte come argilla, ghiaia, fibre o perlite. In questo sistema, le piante non hanno necessità di estendere molto le proprie radici perché non devono consumare energia alla ricerca di nutrienti come avviene normalmente a terra. Il pregio di questo tipo di coltivazione è che gli ortaggi crescono in un ambiente controllato da un sistema informatico centralizzato che monitora l’equilibrio nutrizionale nella soluzione liquida, l’umidità, il corretto apporto di acqua e la concentrazione di sostanze nutritive senza utilizzare fertilizzanti chimici e la pianta non ha stress climatici.

Che cos’è l’aeroponica?

La tecnica aeroponica invece prevede che le piante sono coltivate in un sistema che le mantiene sospese e le radici alimentate con una soluzione nebulizzata di acqua e nutrienti. Una volta allestito il sistema aeroponico, le piante vengono poste con le radici all’aria all’interno di una “grow room” (camera di coltivazione) dove resteranno fino al momento della raccolta, in un ambiente super controllato.

Che cos’è l’acquaponica?

L’acquaponica è invece un sistema basato sull’acqua impiegata come ambiente circolare che mette in relazione la vita di piante, pesci e batteri. È un ecosistema in cui ogni specie beneficia delle altre: pesci e batteri forniscono, mediante gli scarti delle proprie funzioni organiche, tutte le sostanze nutritive di cui le piante hanno bisogno. Tutto questo avviene in maniera naturale, creando un sistema di “economia circolare” dove il rifiuto torna a essere parte integrante del processo produttivo.

Quando è nata l’idroponica?

L’idroponica, contrariamente a quanto si pensi, ha origini molto antiche. Babilonesi, Indios delle Americhe realizzavano coltivazioni su superfici d’acqua. Marco Polo testimoniava la presenza di giardini galleggianti in Cina, mentre gli Aztechi erano soliti costruire delle aree coltivabili sopra delle zattere chiamate “chinampas”.
Nel mondo le vertical farm sono esplose negli ultimi 5 anni raggiungendo dimensioni su scala industriale, soprattutto in Usa, Nord Europa e Giappone, con un boom di investimenti miliardari. L’idroponica è utilizzata in Olanda da oltre 20 anni.
Anche il vertical farm Italia, negli ultimi anni, ha avuto un notevole incremento, una pratica agricola che è diffusa esclusivamente in coltura protetta (indoor), ovvero all’interno di serre ad elevate prestazioni tecnologiche. Alcuni esempi significativi sono Sfera, una grande serra idroponica vicino a Grosseto; Planet Farms, il più grande impianto di vertical farming, costruito alle porte di Milano, che a regime sfornerà 40mila confezioni al giorno di insalate di quarta gamma.
Il concetto di coltivazione in serra è relativamente semplice: slegare la crescita delle piante dall’imprevedibilità della natura, trasferendone la crescita all’interno di strutture chiuse, dove grazie al controllo del clima, consentendo di destagionalizzare i prodotti e, dunque, di poter produrre durante tutto l’anno. Analizziamo quali sono i vantaggi, gli svantaggi, le opportunità, ma anche le minacce, del vertical farming?

Quali sono i vantaggi del vertical farming?

  • I vantaggi, oggettivamente, sono davvero tanti. Prima di tutto le vertical farms potenzialmente possono essere installate ovunque ci sia necessità, eliminando i costi di logistica e trasporto dei prodotti coltivati. Entro il 2050, si prevede che la popolazione mondiale crescerà di altri 2 miliardi di persone e nutrirla sarà una sfida enorme. A causa dello sviluppo industriale e dell’urbanizzazione si stima che la Terra ha perso un terzo delle sue terre coltivabili negli ultimi 40 anni. Pertanto, la coltivazione in serre verticali può essere una valida soluzione ai problemi di produzione alimentare che l’umanità dovrà affrontare in futuro in alcune zone del pianeta.
  • Come per tutte le coltivazioni in serre chiuse, l’utilizzo di fitofarmaci è meno intensivo, essendo coltivazioni in cui microrganismi patogeni, insetti e semi di infestanti entrano più difficilmente, anche se entrano ugualmente.
  • E poi c’è il tema della sostenibilità ambientale. Se produrre un chilo di lattuga in pieno campo richiede l’utilizzo di circa 200 litri di acqua, in una vertical farm ne bastano 1,5 (fino al 90% in meno). Ma c’è anche qualche contro sul tema della sostenibilità, ma questo punto lo analizziamo al prossimo paragrafo.
  • L’agricoltura verticale consente inoltre di produrre più raccolti (anche a ciclo continuo) a parità di area di coltivazione agricoltura orizzontale convenzionale. Un ettaro coltivato in vertical farming offre una produzione equivalente ad almeno 4-6 ettari all’aperto.
  • Non ultimo, nelle colture idroponica possiamo avere frutta e verdura nichel free. Infatti, il nichel è presente nel terreno in notevoli quantità. L’agricoltura idroponica eliminando il terreno determina l’azzeramento delle quantità di nichel presenti nelle piante, un bel vantaggio per chi è intollerante a questo metallo.

Quali sono i punti deboli del vertical farming?

  • Tra gli svantaggi della vertical farm al primo posto c’è il costo di realizzazione dell’impianto. Parliamo di milioni di euro. Il che significa che se queste tecniche fossero applicate su larga scala, solo potenti big company avrebbero il controllo dell’agricoltura, che per secoli è stata una delle poche fonti di sostentamento di popolazione povere.
  • Quando si parla di sostenibilità ambientale si dimenticano le emissioni di CO2 e di gas serra causato dell’elevato uso di energia per produrre/costruire/gestire le serre. Ed inoltre, poi bisogna smaltire i substrati utilizzati o esausti e altri materiali utilizzati nelle serre, che con questo tipo di coltivazione sono spesso difficili da riciclare. Un po’ come il tema dello smaltimento delle batterie nei motori elettrici.
  • Altro punto critico è l’esigenza di disporre di acqua di buona qualità, ovvero non contaminata e non salina. Ricordiamoci che l’acqua è una risorsa sempre più pregiata e in alcune zone può essere davvero preziosa.
  • Il rischio di contaminazione dell’intera produzione di una serra verticale, per quanto molto basso, non è nullo e in alcuni casi sono state rilevate contaminazioni da Salmonella e altri enterobatteri. Le principali fonti di contaminazione in questo caso sono l’aria (soprattutto se gli impianti sono in ambienti urbani o periurbani), la presenza accidentale di piccoli animali, in particolare rettili, ed eventuali contaminazioni dei substrati o dell’acqua.
  • In Italia dal 1990 ad oggi abbiamo perso quasi il 20% di superficie agricola utilizzata (SAU) a causa della cessata coltivazione delle terre meno produttive oltre che dall’espansione delle aree urbanizzate. Ragionando per assurdo, se si ipotizzasse un futuro dove si utilizzerebbero prevalentemente serre idroponiche vertical farm, il terreno non utilizzato si impoverirebbe, con un conseguente aumento del dissesto idrogeologico che ben conosciamo in Italia.
  • Sempre sul tema della sostenibilità ambientale, un altro mito da sfatare è quello di poter produrre vicino ai consumatori, azzerando l’impronta carbonica del trasporto per distribuire il prodotto sul mercato. Le esperienze italiane producono anche per la GDO e quindi inviano il loro prodotto in giro per l’Italia esattamente come accade per i mercati ortofrutticoli tradizionali.
  • Ultimo aspetto critico è il costo unitario dei prodotti coltivati idroponicamente (in particolare se bio) che è superiore al costo di quelli coltivati in campo. È evidente che per nutrire una popolazione mondiale in crescita occorre produrre e vendere a un prezzo accessibile sopratutto nelle zone più disagiata, al momento siamo lontani da questo obiettivo.

Quali sono i rischi dell’idroponica per la biodiversità?

Nella coltivazione idroponica si tende a preferire la scelta di poche varietà di ortaggi selezionati, molto performanti e spesso ibridi. Se pensiamo che nel mondo esistono oltre 30.000 specie commestibili di piante terrestri e di queste soltanto 200 sono coltivate su larga scala, l’utilizzo delle serre verticali potrebbe contribuire ad un ulteriore impoverimento della biodiversità.

Qual è il sapore di frutta, ortaggi e verdura coltivata in idroponica?

Se chiedete ai produttori la risposta è: sono buonissime! Ricordiamo che il sapore delle verdure e dei frutti dipende dal gusto (equilibrio tra dolcezza, rapporto tra asprezza o acidità) e dall’aroma (composti volatili percepiti con l’olfatto). I minerali e gli acidi organici del terreno possono influenzare la percezione, cosi come le sostanze fenoliche. E’ evidente che la genetica della pianta da sola non basta, il rapporto tra tutte le sostanze dipende dalle condizioni climatiche in cui viene coltivata e da una serie di altri fattori che i francesi chiamano “terroir”. Il terroir definisce appunto l’interazione tra più fattori, come terreno, posizionamento, clima e genetica. Nella complessa composizione del gusto, anche a parità di caratteristiche del terreno, di temperatura e umidità, è sufficiente cambiare l’esposizione dell’impianto rispetto al sole o al mare a cambiare il sapore di frutta e ortaggi. Facile comprendere la differenza di sapore quando si confrontano le coltivazioni tradizionali, soprattutto in territori particolarmente vocati, e quelle delle serre idroponiche.

In conclusione, analizzando le grandi opportunità delle vertical farm non possiamo trascurare anche i rischi per la biodiversità laddove non necessario. Ad esempio, ci chiediamo se in Italia abbiamo realmente bisogno delle serre idroponiche, anche perché in tal caso dovremmo rinunciare alle indicazioni geografiche protette (DOP/IGP) di cui siamo il leader a livello mondiale.
In conclusione vi lasciamo con una domanda: nel nobile sforzo di salvare il pianeta non stiamo forse rischiando di distruggere la nostra agricoltura e di conseguenza i nostri agricoltori custodi?