Alberata Aversana: quando il vigneto è architettura di un paesaggio

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Il metodo colturale dell’Alberata Aversana ha dell’incredibile: è qui che le viti di asprinio sono “maritate” a secolari pioppi e si erigono a 10/15 m di altezza. Non resta che scoprire come raccogliere i grappoli senza cadere.

Due storie che si incrociano ,o per meglio dire, si “maritano”: quella dell’Alberata Aversana e quella dell’Asprinio, un vino banalmente definito minore, riscoperto solo negli ultimi anni. L’alberata che, in questo caso, andrebbe definita piantata, è una tecnica di coltura delle viti sviluppata dagli Etruschi. Prevede l’utilizzo come tutore di un albero vivo, un pioppo, a cui la vite è tenuta legata. Quando le viti, legate ad alberi disposti in filari, sviluppano i loro rami lungo funi legate tra i vari alberi, si parla invece di piantata. Negli anni Sessanta si contavano circa 16.000 ettari di terreni coltivati ad alberata tra le province di Napoli e Caserta, numero sceso irreparabilmente a meno di 200. L’Agro Aversano è stato per centinaia di anni caratterizzato, a livello paesaggistico, da questo tipo di coltura, che solo abili contadini, definiti “uomini ragno” hanno saputo conservare e che adesso rischia di essere abbandonato. È un’eredità difficile da mandare avanti, sia per la gestione economica del vigneto, dato che ha costi almeno tre volte superiori alla raccolta tradizionale, sia perché si parla di agricoltura eroica, dato che solo i contadini sono in grado di arrampicarsi lungo gli alti filari e eseguire la potatura dei filari ricamando i tralci di vite sui pioppi. Il Presidio Slow Food è intervenuto per evitare l’estinzione di questo sistema.

Origine dell’Alberata Aversana

In Italia sono stati i Greci a introdurre la coltivazione delle viti, ma gli Etruschi hanno contribuito alla tecnica della vite maritata. In questo modo, dove si intende letteralmente che la vite sposi l’albero su cui si arrampichi, nell’Agro Aversano si è diffusa la varietà di vitigno asprinio. Ci sono diverse teorie su come questo vitigno sia arrivato in questa zona. I primi riferimenti risalgono alla fine del 1400. Si è supposto che l’Asprinio sia legato da un’antica parentela con i Greco di Tufo, mentre un’altra ipotesi, poco accreditata, lo lega alla famiglia del Pinot. In base a quest’ultima idea, Roberto d’Angiò chiese al cantiniere della Casa Reale Louis Pierrefeu di scegliere un luogo nella campagna napoletana dove piantare un vigneto per produrre uno spumante per la Corte Angioina, senza dover far arrivare lo Champagne dalla Francia. Sembra più plausibile che gli Etruschi abbiano domesticato la vite selvatica presente nella zona dell’Agro Aversano.

Alcune curiosità sulla coltivazione della vite in alberata

Questa tecnica di allevamento si fonda, come già accennato, sull’utilizzo di alberi infruttiferi, in questo caso pioppi, ma anche olmi e aceri campestri, adoperati per sostenere i tralci. Questi alberi sono adatti alla convivenza perché hanno una chioma limitata che non toglie la luce ai grappoli e un apparato radicale che non interferisce con quello della vite. La metodica prevede l’applicazione di corde o cavi che vengono stese da un pioppo a quello adiacente. La vite maritata era diffusa in varie regioni italiane fino alle metà del novecento; si trovano anche raramente in Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Georgia. Recenti testimonianze hanno portato alla scoperta di alberate anche in centro Europa. Interessanti esempi di alberate sono oggi ancora presenti in alcuni coltivi del Cilento.

Per quanto riguarda l’alberata aversana, la disposizione di viti di Asprinio consente di toccare anche i 15-20 m di altezza. Proprio perché si sviluppano in altezza, consentono di utilizzare spazio del suolo che può essere sfruttato per altre colture. Una forma di antica sostenibilità agricola.

Le strutture che si formano sono dei veri e propri muri verdi, di rami, grappoli e foglie la cui manutenzione è del tutto particolare. Il criterio spaziale della potatura è tutto finalizzato allo sviluppo in altezza e non in larghezza. La raccolta dei grappoli viene effettuata tramite l’utilizzo di una scala molto alta a pioli stretti, leggerissima e quindi agevole da spostare. Infatti, lo scalillo, come viene chiamata, riesce a scorrere lungo il percorso del verde muro di vigne senza alterarne la struttura.

Gli equilibristi dell’alberata si spostano lungo i filari sulle loro alte scale, strettamente personali. Infatti, le scale sono costruite su misura: la distanza tra un piolo e l’altro corrisponde esattamente alla lunghezza della gamba del suo proprietario, in modo da garantirgli una buona stabilità, rafforzata da un incavo centrale sul quale il vignaiolo fa presa con il ginocchio incastrandosi alla scala che, a sua volta, e saldamente agganciata tra i filari. Non si scende mai dalla scala, sarebbe una fatica insostenibile, e quindi ci si sposta lungo i filari saltellando su di essa. Le mani devono essere totalmente libere, pertanto non si usano le cesoie per staccare l’uva dalla pianta, ma solo le dita. A questo punto il grappolo viene posto nella fèscina, la cesta di castagno/vimini a forma di cono che, una volta piena, è calata al suolo con una lunga corda. Qui i vendemmiatori di terra la raccolgono per adagiarla con cura nelle cassette.


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Quali sono le caratteristiche del vino Asprinio?

L’Asprinio, anche per la sua affinità ai terreni sabbiosi, è uno dei pochi vitigni che non necessita dell’innesto su viti americane, poiché è immune alle infestazioni di fillossera. Ancora oggi è possibile trovare coltivazioni di questa varietà allevate a piede franco.

L’Asprinio è stato riconosciuto nel 1993 tra i vini DOC della Regione Campania. Negli ultimi vent’anni c’è stata una giusta riscoperta di questa varietà autoctona. In principio si otteneva un vino bianco di sostentamento, spesso sgraziato, dal colore tenue e dal sapore particolarmente aspro, più utile come vino da taglio. Poi, con l’introduzione di nuovi metodi di allevamento della vite, l’utilizzo di nuovi impianti e l’impiego della moderna tecnologia, le asperità più accentuate del varietale si sono assottigliate, senza però intaccarne il carattere.

Lo scrittore Mario Soldati lo descrive così: “Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’Asprinio no. L’Asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta… Che grande piccolo vino!”

Luigi Veronelli lo ha paragonato ai migliori vinhos verdes portoghesi. Senza dubbio, è un vino che spicca per una vivace freschezza. È molto secco, di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, con note citrine, agrumate, minerali e lievemente mandorlate. Un vino perfetto per la spumantizzazione.

I produttori sono pochi, chi conserva le viti ad alberata lo fa spesso per il grande amore che lo lega a questa tradizione e per rispetto della loro bellezza. Molti produttori di Asprinio si sono convertiti già da tempo ai sistemi a spalliera per ottenere un vino di maggior qualità. Auspichiamo che ci siano interventi a supporto dell’alberata aversanai: sarebbe davvero un peccato che la testimonianza di abilità e antichi saperi, nonché tanta bellezza, vada definitivamente perduta.


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