Pubblicato il Decreto Salvaspesa, diteci qualcosa che non sappiamo

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Il Decreto Salvaspesa, salvato in extremis da una nuova proroga, basterà a combattere gli inganni del falso Made in Italy e dell’Italian Sounding?

Lo scorso novembre ci eravamo già occupati del Decreto Salvaspesa in scadenza, ovvero la proroga ai Decreti Interministeriali, che rendono obbligatorio dichiarare in etichetta, l’origine della materia prima di alcuni prodotti, per cui non era ancora prevista un’indicazione a livello europeo: pasta, pomodoro e derivati, riso, latte e derivati, carni suine.

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (Serie Generale n.32 del 08-02-2022), il decreto interministeriale entra ufficialmente in vigore con tutta la sua obbligatorietà a partire dal 31 dicembre 2021, per cui le aziende agroalimentari che ancora non si fossero adeguate, nei prossimi mesi, dovranno farlo per non incorrere in sanzioni penali ed amministrative.

Servono informazioni chiare e verificabili

I Decreti sono nati qualche anno fa, con l’intento, tutto italiano, di integrare e rendere più efficace il Regolamento UE 775/2018 sull’origine dell’ingrediente primario. In base a quest’ultimo, come già avevamo approfondito in precedenza, è previsto, infatti, l’obbligo di indicare la provenienza dell’ingrediente primario in etichetta solo in alcuni casi, cioè se non coincide con l’origine del prodotto o con il Paese dove è avvenuta l’ultima trasformazione.

I decreti circa l’obbligo di indicazione dell’origine della materia prima in etichetta, che adesso hanno il nome di Decreto Salvaspesa, da un lato hanno la funzione di tutela dei prodotti Made in Italy, in un momento storico in cui è fondamentale sostenere l’economia, le produzioni, i territori e il lavoro nel nostro paese, dall’altro si pongono in un’ottica di trasparenza verso i consumatori finali.

In Italia, infatti, i consumatori selezionano con molta cura i prodotti da acquistare in base alle informazioni riportate in etichetta. Stando al “Rapporto Coop 2021 – Economia, Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” emerge il desiderio di benessere attraverso il cibo, cosa che spinge a spendere di più pur di acquistare prodotti di qualità certificata. Ovviamente la cosa si traduce in una maggiore attenzione a quanto viene riportato in etichetta: il 39% degli italiani ritiene determinante per l’acquisto le indicazioni sull’origine e la provenienza del cibo; mentre il 28% si dice interessato ai valori nutrizionali e subito dopo, il 26% si informa sul metodo di produzione.

Insomma, un po’ complice la pandemia, ma anche l’evoluzione del consumatore, il desiderio di informazioni chiare, immediate e verificabili è un trend in crescita in un sempre maggior numero di consumatori consapevoli. Ma questo trend sembra essere ignorato da molte aziende, e i fatti dimostrano che una scritta in etichetta non basta.


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La trasparenza e i recenti scandali

Trasparenza e sicurezza alimentare si intersecano inevitabilmente. Le numerosi frodi alimentari nel nostro paese hanno in più occasioni messo a repentaglio la salute dei consumatori. A partire dallo scandalo della mucca pazza del 2001 e dall’aggiunta del metanolo nel vino, l’Europa è corsa ai ripari in tema di trasparenza. Ciò non ha impedito il susseguirsi di scandali alimentari che non solo hanno minato la fiducia dei consumatori, ma hanno messo in crisi lo stesso Made in Italy.

Gli scandali sono numerosi e abbastanza noti, ci ricordiamo ad esempio la recente accusa di frode rivolta al marchio De Cecco accusato di aver mentito riguardo i grani utilizzati nella produzione di pasta (che poi è corsa ai ripari rifacendo lo spot in TV). O anche tutte le frodi riguardanti alcune industrie conserviere, che commercializzavano prodotti già etichettati con la dicitura «pomodoro 100% italiano» o «100 % toscano», quando in realtà il pomodoro italiano era miscelato con rilevanti percentuali di pomodoro concentrato estero, proveniente in gran parte dalla Cina o dall’Egitto, paesi in cui gli standard relativi ai fitofarmaci in agricoltura sono molto più bassi di quelli consentiti dall’Unione Europea.

Nelle scorse settimane, inoltre, con l’operazione Barbecue 4, il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare(RAC), ha sequestrato, su tutto il territorio nazionale, più di 10 tonnellate di carne suina lavorata di vario tipo, per un valore commerciale di circa 135 mila euro per la mancata indicazione obbligatoria in etichetta del luogo di provenienza delle carni suine trasformate.

Una valida soluzione la offre la Blockchain con la certificazione di filiera

Sono diverse le soluzioni a cui le aziende agroalimentari possono rivolgersi per essere trasparenti nei confronti dei consumatori, non tutte però sono così immediate e facilmente comprensibili dal cliente finale.

L’obiettivo della tracciabilità di filiera in blockchain, tra i servizi più di successo offerti da Authentico, è di tutelare la produzione dei prodotti di qualità ma soprattutto offrire ai consumatori una rinnovata garanzia dal momento in cui possono verificare autonomamente, in completa trasparenza col proprio cellulare: la provenienza delle materie prime, il trasporto e la lavorazione del prodotto che hanno tra le mani. Questa nuova tecnologia consente di rendere tracciabili, sicuri e condivisibili i dati di qualsiasi bene, dalle singole materie prime al prodotto finale, garantendo la trasparenza di ogni singola fase, tenendo traccia di ogni lavorazione e di ogni passaggio che avviene attraverso la filiera dal campo alla forchetta.

Inoltre, per la tutela della saluta e in ottica di fornire maggiore visibilità ai consumatori, grazie al sistema Certifood, Authentico consente a ristoranti, pizzerie, pasticcerie e gelaterie di garantire ai suoi clienti un alto livello di sicurezza alimentare, attraverso la tracciabilità delle procedure igienico-sanitarie utilizzate per la preparazione del cibo consegnato in asporto o a domicilio (delivery).

I consumatori richiederanno sempre più trasparenza in termini di approvvigionamento, origini alimentari e metodi di coltivazione e trasformazione. Le aziende produttrici, distributori e ristoratori dovranno, quindi, adottare misure sempre più orientate a garantirla.

Valore etico e reputazione del Made in Italy

Utilizzare materia prima non italiana, venduta riportando in confezione la dicitura Made in Italy, è considerato un illecito che ha ovvie ripercussioni anche sulla reputazione della filiera italiana.

Lo standard qualitativo intrinseco e la sicurezza alimentare quando si scelgono prodotti a marchio Italia non può e non deve essere in nessun modo inficiato. Le aziende che hanno puntato sulla trasparenza sono state premiate in termini di scelta di acquisti dai consumatori italiani; se tutte intraprendessero un rinnovamento in questa direzione, probabilmente, notizie riguardanti contraffazioni e scandali diminuirebbero. Nel lungo termine ne guadagnerebbe l’intero comparto delle produzioni agroalimentari Made in Italy, un asset strategico da difendere.