La vera ricetta originale della Carbonara che non esiste

la vera ricetta originale della carbonara che non esiste

La ricetta originale della carbonara prevedeva tra gli ingredienti l’aglio, il formaggio gruviera e la pancetta. Un esempio classico di quello che Eric Hobsbawm definì l’invenzione della tradizione

La ricetta originale della carbonara fu descritta per la prima volta sulla rivista La Cucina Italiana nel 1954. La ricetta dal titolo “Spaghetti alla carbonara” prevedeva l’utilizzo del “groviera”, un formaggio svizzero a pasta pressata cotta, e della pancetta, che veniva soffritta addirittura con l’aglio. Come raccontato dal giornalista del Corriere della Sera, Alessandro Trocino, nel libro “La carbonara non esiste”.

Questa notizia da sola basta a distruggere una delle poche certezze culinarie italiane, cioè che la pasta alla carbonara si fa con uova, pecorino, guanciale, pepe nero e spaghetti, o rigatoni.

La storia della carbonara, come quella di tanti piatti italiani “tradizionali” è una storia complessa dove le sue origini sono tutt’altro che chiare, anche se la versione più accreditata è ormai quella che la collega alla fine della guerra e alla razione di cibo dei soldati alleati che liberarono Roma. Come molti piatti e ricette del passato anche la carbonara è il frutto di una stratificazione nel tempo e anche di una contaminazione di culture e ricette diverse.

Insomma, stiamo parlando di un piatto recente e dalle origini misteriose eppure, da qualche anno, è diventata una specie di linea del Piave a presidio della tradizione italiana. Un monumento della nostra cucina che in quanto tale non può essere modificato pena sollevazione di popolo e persino di qualche insulto. Basta infatti che un cuoco, uno qualsiasi, non fa differenza, si permetta di aggiungere un goccio di panna, o peggio ancora, metta tra gli ingredienti la pancetta al posto del guanciale per scatenare un putiferio.

Se chiedete in giro vi diranno che la carbonara è antichissima, fa parte della storia della cucina romana tradizionale ed è sempre stata fatta così. Se indaghiamo scopriamo che sono state tramandate diverse storie possibili per la carbonara, nessuna però è convincente fino in fondo perché nessuna è del tutto vera. Si tratta, infatti, di narrazioni create appositamente per dare alla carbonara delle gambe solide su cui appoggiarsi e inserirla con maggior diritto nella “hall of fame” dei piatti della tradizione italiana.

La vera storia della pasta alla carbonara in realtà non la conosciamo, nel senso che le ipotesi sono tante. La prima ipotesi è che sia un piatto che nasce dalla tradizione napoletana. Un’altra è quella che invece sia il risultato del lavoro dei pastori abruzzesi, un’altra che narra di un famoso chef bolognese, Renato Landi, che l’avrebbe cucinata per la prima volta a una cerimonia militare. Forse la storia più attendibile, anche se è quella che fa arrabbiare di più i romani,  é che sia il frutto dell’incontro tra i soldati americani durante la Seconda Guerra Mondiale e i pastori laziali-abbruzzesi che erano soliti cucinare la pasta cacio e ova. I soldati americani avrebbero utilizzato gli ingredienti della razione K, la razione di sostentamento dei soldati, che erano sostanzialmente uova, latte e bacon mischiati con la pasta, e da qui potrebbe essere nata per la prima volta questa ricetta.

La carbonara è un buon esempio di quella che Eric Hobsbawm chiama “l’invenzione della tradizione”.  Secondo il celebre storico britannico, l’invenzione della tradizione è un processo di riorganizzazione e formalizzazione attribuibile al passato, perché impone la ripetibilità, un’operazione che talvolta viene fatta deliberatamente da un singolo o da un’istituzione e, in altri casi, invece, è un processo che avviene nel tempo senza che qualcuno stabilisca esattamente il suo inizio.

Ma cos’è la tradizione? E che valore ha oggi in tempi in cui tutto si consuma rapidamente, a partire proprio dal cibo? L’Unione Europea ha stabilito che accanto ai prodotti DOP (Denominazione di Origine Protetta) e agli IGP (Indicazione Geografica Tipica) esistono anche le STG cioè Specialità tradizionale garantite. La norma dice che per poter essere considerato “tradizionale” un prodotto deve essere presente da almeno una generazione, unità di tempo che si misura in circa 30 anni. Per intenderci, fanno parte di questa denominazione, la mozzarella, la pizza napoletana e il sugo all’amatriciana. Ma se pensate a prodotti con poco più di 30 anni di vita potreste aggiungere all’elenco dei prodotti tradizionali la Nutella o la Coppa del Nonno, per esempio.

In fondo non siamo lontani dalla definizione che ne dà dal vocabolario Treccani: “la tradizione e la trasmissione nel tempo di generazione in generazione di consuetudini, usi, costumi, modelli e norme.”

Questo concetto universale assume un ruolo così centrale nella nostra cultura soprattutto quando si parla di gastronomia. Alberto Patty, una delle voci più autorevoli in Europa sulla storia della ristorazione e della gastronomia, dice che ciò accade principalmente perché la gastronomia è una ricorrenza che a tratti può essere definita infestante. In secondo luogo, perché “tradizione” è diventata una sorta di misura del tempo, una misura temporale ineludibile che permette di misurare anche la quantità e misurare anche la ricorrenza di certi fenomeni. E infine perché la tradizione è un’operazione immaginaria che ci permette di mostrare qualsiasi cucina, qualsiasi personaggio, degli ingredienti e farli dialogare. Non siamo i soli, anche i cugini francesi si appellano al “traditionnel” ogni qual volta dichiarano inapplicabile una norma europea al cibo francese.

Tradizionale, come artigianale, è stato sicuramente un termine che è diventato una ricorrenza “infestante” nella misura in cui viene utilizzato per qualsiasi tipo di trasmissione di valore, di ricette, di cibi, di consuetudini. Ed è una strategia di valorizzazione usato molto spesso dal marketing, come dai gastronomi e dagli stessi storici della cucina.

La storia della vera carbonara che non esiste è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare per spiegare quanto sia rischioso, o per lo meno forzato, parlare di lontana tradizione per determinati piatti. Probabilmente, è più corretto dire che esistono tante tradizioni diverse quante sono le regioni italiane, se non addirittura quante sono le famiglie italiane. Se non ci credete, provate a chiedere ai napoletani qual è la vera ricetta della pastiera.