La sostenibilità è davvero sostenibile?

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Quali saranno gli effetti della strategia Farm to Fork sulla sostenibilità? Di certo gli obiettivi fissati dal Green Deal avranno un impatto notevole su tutta la filiera agroalimentare, ma siamo sicuri che i risultati saranno quelli attesi?

La strategia Farm to Fork punta alla sostenibilità del sistema alimentare europeo affinché si raggiunga la neutralità climatica (equilibrio tra le emissioni di gas serra e la capacità della Terra di assorbirle) entro il 2050. Il problema della sostenibilità ambientale si scontra spesso con la sostenibilità economica e sociale. Come nel caso del biologico dove, a causa di una riduzione della produzione, c’è un aumento di prezzi che non trova riscontro nel mercato.

La domanda cruciale è quanto siamo disposti a pagare in più per la sostenibilità?

Da diversi studi recenti emerge che nel food il 68% dei consumatori afferma di essere disposto a pagare di più per i prodotti green purché la differenza di prezzo sia marginale (meno del 3%). Contro un 18% che sceglierebbe il prezzo più basso perché il fatto che un prodotto sia sostenibile è irrilevante.

La farm to fork è sostenibile?

Sebbene tocchi tutti gli aspetti della filiera, dall’agricoltura fino all’etichettatura dei prodotti, ed abbia raccolto numerosi consensi in Parlamento, non si può dire che non sollevi dubbi sul suo stesso impatto, qualora venisse applicata.

Gli studi dell’USDA (ministero dell’Agricoltura degli USA) e del CCR (il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea) mettono in evidenza gli effetti della strategia Farm to Fork (dal produttore al consumatore), ma anche della strategia sulla biodiversità per il 2030.

Le conseguenze dell’attuazione di queste due iniziative presenti nel Green Deal Europeo, stando agli studi dell’USDA e del CCR, a cui si aggiungono i risultati di un nuovo studio redatto da due professori dell’Università di Kiel, in Germania, potrebbero provocare una notevole riduzione della capacità produttiva dell’agricoltura europea e del reddito degli agricoltori, un aumento dei prezzi al consumo e nello stesso tempo non sarebbero significativi per la riduzione di CO2.

Questo perché la risposta produttiva dei Paesi Terzi può avvenire solo aumentando il consumo di combustibili fossili.

Cosa prevede il Green Deal?

Il Green Deal Europeo è stato presentato dalla Commissione Europea a dicembre 2011, e nasce come insieme di strategie di crescita per l’Europa, volte alla trasformazione in una società a impatto climatico zero. Prevede azioni e politiche estremamente interconnesse tra loro, inerenti agli ambiti clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile. In particolare, le iniziative attinenti al comparto agroalimentare sono Farm to Fork e biodiversità per il 2030.

La strategia Farm to Fork (dal produttore al consumatore) si pone come obiettivi quelli di garantire alimenti in quantità sufficiente (nutrienti e a prezzi accessibili entro i limiti del pianeta) e la sostenibilità della produzione alimentare (riducendo esponenzialmente l’uso di pesticidi e fertilizzanti, promuovendo l’agricoltura biologica). Oltre alla promozione di regimi alimentari sani più sostenibili, alla riduzione di sprechi alimentari, al miglioramento del benessere degli animali e alla lotta alle frodi alimentari nella catena di approvvigionamento.

La strategia sulla biodiversità per il 2030 riguarda il rafforzamento delle zone protette in Europa e il ripristino degli ecosistemi degradati, attraverso il potenziamento dell’agricoltura biologica, la riduzione dell’uso e della nocività dei pesticidi e il rimboschimento.

 

Quale sarà il vero impatto del Green Deal?

Le prime valutazioni sull’impatto pongono un dubbio riguardo la reale diminuzione di CO2, dal momento che la produzione europea, stando alle disposizioni, subirebbe un calo. Un terreno che produce di meno trattiene meno carbonio all’interno del suolo, che poi viene rilasciato sotto forma di anidride carbonica. A questo, si aggiunge che una produzione minore induce ad un aumento delle importazioni da paesi terzi, con il conseguente aumento di emissioni da parte di questi ultimi. Insomma potrebbe aversi un bilancio addirittura negativo.

C’è da considerare un altro fattore di rilevanza. Per la salvaguardia dell’ecosistema è necessario limitare il riscaldamento globale alla soglia di 1,5 gradi. Quindi, se anche l’Europa raggiungesse l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2050, lo sforzo non sarebbe risolutivo. Infatti, il Vecchio Continente produce solo il 9% delle emissioni mondiali di gas serra.

A onor del vero, nessuno di questi studi valuta però le possibili conseguenze delle nuove tecnologie e innovazioni scientifiche sulle pratiche agricole e dei cambiamenti dei modelli alimentari e di consumo in Europa.

Novità nel regolamento che disciplina l’etichettatura degli alimenti

In una recente nota del Parlamento Europeo sul documento di approvazione della Farm to Fork (New Green Deal) si chiede l’estensione a tutti i prodotti agroalimentari di un sistema di etichettatura di origine obbligatoria e si indica che “eventuali sistemi di etichettatura nutrizionale abbiano solamente una finalità informativa, senza influenzare i consumatori tramite sistemi a colori”. Questa nota riapre la discussione sull’obbligo di un’etichetta nutrizionale Ue fronte-pacco, che è il terreno di battaglia tra Nutrinform e Nutriscore. Ricordiamo che, rispetto al Nutriscore, l’Italia è sempre stata contraria alle etichette a semaforo così come concepite, in quanto segnalano col colore rosso gli alimenti “pericolosi”, favorendo cibi di altri paesi europei, penalizzando inoltre l’informazione sulle nostre eccellenze e bollando come pericolosi i nostri prosciutti perché salati, i salami perché grassi, i grandi formaggi per l’uno e l’altro motivo, e non salvando nemmeno l’olio EVO (extra-vergine d’oliva) capostipite della Dieta Mediterranea.

In questo contesto, sembra lecita allora la domanda formulata, con evidente intento polemico, da Christiane Lambert, presidente francese del Copa-Cogeca, (a cui aderiscono le organizzazioni agricole e della cooperazione degli Stati membri): “Quanti altri studi sull’impatto della strategia indicata nella comunicazione “Dal produttore al consumatore” sono necessari, prima che un vero dibattito abbia inizio a Bruxelles”?


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