Blockchain: chi è disposto a pagare per la trasparenza del cibo?

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La blockchain consente di rintracciare istantaneamente l’origine degli alimenti. Quanto costa alle aziende e chi è disposto a pagare di più per un cibo trasparente

Tutto è iniziato a fine settembre 2018 quando Walmart, la più grande catena di supermercati al mondo, ha mandato una lettera agli oltre 100 fornitori di verdure fresche chiedendo di aderire alla blockchain per la tracciabilità degli alimenti entro il 31 gennaio 2019 e successivamente lo ha chiesto anche agli agricoltori, ai partner commerciali e alle imprese di logistica.

Il messaggio contenuto nella lettera era chiaro: se vuoi continuare a vendere nei nostri supermercati devi aderire alla Walmart Food Traceability Initiative. In buona sostanza, quello che veniva chiesto a tutti i fornitori di verdura a foglia era di caricare i loro dati di fornitura direttamente sulla piattaforma blockchain chiamata IBM Food Trust Solution, realizzata per Walmart dalla IBM.

Ad accelerare questa iniziativa, che Wallmart stava gia testando da tempo, è stata un’epidemia di batteri Escherichia coli che ha colpito gli Stati Uniti nella primavera del 2018, una pandemia che ha viaggiato in oltre 36 stati grazie ad una fornitura di lattuga romana contaminata. Circa 210 persone sono state ricoverate e 5 persone hanno purtroppo perso la vita. Ci sono volute settimane per rintracciare i ceppi infetti e alla fine la contaminazione è stata fatta risalire alla Valle di Salinas e a Yuma, in Arizona.

Questo episodio ha messo in luce che, nonostante le leggi rigorose, la sicurezza alimentare è un problema che non è risolto efficientemente con le tecnologie attuali, dove si impone alle aziende della catena di approvvigionamento di garantire una rintracciabilità ciascuna nei confronti di quella che la precede (“una contro l’altra”). Quando si verifica un incidente di avvelenamento da cibo, il problema non può essere risolto rapidamente perché bisogna seguire un processo seriale, step-by-step, risalendo la catena. Con la tecnologia blockchain, si riesce a rintracciare la fonte della contaminazione in 2.2 secondi.

La trasparenza della filiera agroalimentare con la blockchain è usata con lo scopo di garanzia di qualità per il consumatore, come ad esempio per la rintracciabilità della materia prima usata nei prodotti alimentari. In questo caso la blockchain fornisce un supporto alla sicurezza alimentare, oltre a favorire la sostenibilità economica evitando gli sprechi.

Infatti, la possibilità di tracciare velocemente la provenienza del cibo permette, in caso di epidemie, di minimizzare l’impatto sulla salute dei consumatori. Come dicevamo i vantaggi della rintracciabilità consentono anche di evitare lo spreco per i produttori, per i rivenditori e per i consumatori, perché si evita di ritirare dal mercato lotti di grandi dimensioni erroneamente associati alla crisi sanitaria. Le autorità sanitarie americane avevano ordinato ai consumatori di buttare tutta la lattuga prodotta in Arizona. Tonnellate di lattuga romana furono mandate al macero, Walmart aveva ripulito ogni brandello di verdura a foglia larga dai suoi scaffali per essere sicura di aver eliminato la contaminazione. Un costo ed uno spreco pazzesco.

A differenza di alcune soluzioni tecnologiche, la blockchain applicata alla tracciabilità del cibo da benefici a tutta la catena: agli agricoltori, ai produttori, ai distributori e ovviamente ai consumatori. Un’applicazione importante della blockchain è nella lotta alla pirateria e alla contraffazione agroalimentare, sistema che si rivela molto efficace anche contro l’imitazione delle eccellenze alimentari Made in Italy, il fenomeno conosciuto come Italian Sounding.

L’esempio di Walmart ha segnato l’inizio dell’adozione della blockchain nelle catena di approvvigionamento delle GDO di tutto il mondo ed è stato seguito da altri: Dole, Unilever, Tyson Foods, Driscoll’s, Golden State Foods, McCormick and Company, ma anche da Carrefour, che in l’Italia ha usato la blockchain per la filiera del pollo (Filiera Qualità Carrefour).

Grandi player come IBM, EY e Microsoft hanno sviluppato delle soluzioni per la filiera agroalimentare trasparente utilizzando la blockchain. Le soluzioni si integrano con i sistemi ERP aziendali ed offrono un portale web e un’app per smartphone che tutti gli attori della filiera (comprese le aziende agricole) possono usare per immettere dati, caricare dei documenti fiscali (DDT, Fatture, etc) o caricare dei file come il “Quaderno di campagna” digitale.

Non mancano le critiche, alcuni sostengono che IBM ha adottato una nuova tecnologia che non ha bisogno di un intermediario e si è promossa essa stessa come intermediario.  La critica più comune per la certificazione della filiera alimentare attraverso le piattaforme di blockchain pubbliche è che senza l’utilizzo di smart contract e dispositivi di controllo IoT, che eliminano l’inserimento manuale da parte degli uomini, non si può avere un sistema veramente incorruttibile.

Cos’è la blockchain e come si applica alla tracciabilità alimentare?

La piattaforma blockchain è un database distribuito che conserva i dati (dati, documenti, transazioni, eventi digitali) in un modo da renderli resistenti alle manomissioni. Mentre i partecipanti a una blockchain possono accedere, ispezionare o aggiungere altri dati, non possono modificare o eliminare i dati esistenti. Le informazioni originali rimangono archiviate, lasciando una traccia di transazioni pubbliche e permanenti. Ed è proprio la tracciabilità delle transazioni la grande applicazione di questa tecnologia al cibo. Agricoltori, trasformatori, produttori, trasportatori, rivenditori rappresentano i vari nodi della Blockchain che registrano le informazioni relative alla storia dei loro prodotti, dalla campo alla tavola, “from farm to fork” come dicono gli americani.

Quali sono i vantaggi della tracciabilità blockchain per i consumatori?

La blockchain per il consumatore diventa la garanzia della trasparenza nella filiera alimentare. Usando un telefono cellulare è possibile conoscere velocemente tutto sul cibo che vogliamo acquistare. Chi l’ha prodotto, dove, con quale materia prima, il numero del lotto di produzione, le indicazioni sulla lavorazione, le date di scadenza, lo stoccaggio, la data di spedizione. Tracciabilità, sostenibilità, etica e trasparenza sono il sogno e la speranza di un consumatore consapevole e intelligente.

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Qual è la situazione della blockchain in Italia nel settore agroalimentare?

Oltre Carrefour Italia, al momento ci sono poco più di una decina di aziende italiane che hanno avviato dei progetti di blockchain, tra cui: Barilla, Perugina, Torrefazione San Domenico, Gruppo Italiano Vini, Mozzarella Spinosa, Oleificio Zucchi, Cantina Volpone, etc. In Italia c’è ancora un problema di cultura, manca la piena consapevolezza della tecnologia e dei campi di applicazione. Ma principalmente prevale una generale diffidenza rispetto ai benefici potenziali. Il principale ostacolo è il fatto che le PMI italiane sono poco strutturate a livello dei sistemi informativi, inoltre mancano le competenze interne in grado di valutare se gli investimenti richiesti dall’adozione della blockchain diano i risultati sperati.
Eppure i dati recenti dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano testimoniano che i benefici della tracciabilità digitale per le aziende si traducono in una maggiore efficienza e soprattutto in un incremento dei ricavi del 14%.

Questo perché si risponde ad una crescente domanda di quel target di consumatori che è alla ricerca della trasparenza. La dimostrazione di questo fenomeno è data nel crescente segmento dei prodotti “premium”. Un recente studio del Food Marketing Institute ha evidenziato che il 44% dei consumatori esige informazioni dettagliate sulle modalità di produzione del cibo acquistato e il 75% non si fida di quanto riportato sulle etichette.

La rivoluzione blockchain potrebbe trasformare radicalmente l’industria alimentare globale. Ma alcuni produttori si domandano quanti consumatori siano disposti a pagare un po’ di più per avere un prodotto trasparente certificato dalla blockchain.
La risposta arriva da diverse indagini di mercato, la più recente realizzata da PwC  afferma che il 73% dei millennials e il 76% della generazione Z è disposto a pagare di più per avere la certezza sulla sostenibilità dei propri marchi di alimentari preferiti.

Per qualcuno il 2019 è l’anno della blockchain per la tracciabilità alimentare, la domanda è: in Italia avrà le gambe per correre o dovremmo aspettare ancora qualche anno?