L’Italian Sounding vale oltre 110 miliardi di euro nel mondo e riguarda migliaia di prodotti che sfruttano nomi, colori e simboli italiani per vendere falsi Made in Italy. Un fenomeno che danneggia i nostri produttori e inganna i consumatori appunto con messaggi evocativi all’italianità attraverso l’utilizzo di diciture e colori e che è in aumento in USA a causa dei recenti dazi.
Il caso Parmesan è solo la punta dell’iceberg di questo fenomeno globale. Il Parmigiano Reggiano è un simbolo dell’eccellenza italiana, un prodotto DOP che racchiude secoli di tradizione, qualità e legame con il territorio. Eppure, a migliaia di chilometri dalle province di Parma e Reggio Emilia, questo nome viene spesso sostituito con un termine che suona familiare agli americani (Italian souding) ma nasconde un mondo completamente diverso: “Parmesan”.
Due parole simili, ma due realtà opposte. Da una parte, un formaggio a Denominazione di Origine Protetta, prodotto secondo un rigidissimo disciplinare. Dall’altra, un termine generico usato negli Stati Uniti per indicare qualsiasi formaggio a pasta dura assomigliante al Parmigiano, privo di quelle caratteristiche che rendono unico il nostro Parmigiano Reggiano DOP. Quella del Parmesan contro il Parmigiano Reggiano è il simbolo della battaglia globale per il Made in Italy
Perché il Parmesan è una minaccia per il Made in Italy
Negli USA, parole come “parmesan”, “mozzarella”, “asiago” o “fontina” sono considerate nomi comuni, non marchi protetti. È il risultato di decenni di produzioni locali che hanno abituato i consumatori a versioni contraffatte, facendo passare per “italiano” ciò che di italiano non ha nulla.
Il danno? Enorme. Secondo le stime del Consorzio Parmigiano Reggiano, il giro d’affari del falso Parmesan nel mondo supera i 2 miliardi di euro, per circa 200mila tonnellate di prodotto: più del triplo dell’export del vero Parmigiano Reggiano. Secondo gli analisti di Authentico dell’Osservatorio Italian Sounding non è solo un problema di mancato guadagno per le imprese italiane. A rischio c’è la credibilità delle nostre produzioni. Se all’estero qualcuno è convinto che i prodotti fake che acquista nei supermercati sono italiani autentici dopo averli assaggiati che opinione falsata avrà delle nostre grandi eccellenze? Siamo sicuri che tornerà ad acquistare prodotti italiani (italiani o fake)? E pensare che qualche anno fa si era diffusa l’opinione, suggerita da Oscar Farinetti, che non bisognava condannare l’Italian Sounding piuttosto, considerarlo come una pubblicità per i nostri prodotti.
Perchè non riusciamo a difendere giuridicamente le nostre Indicazioni Geografiche? Il nemico si chiama CCFN
A guidare la battaglia contro le tutele europee c’è il Consortium for Common Food Names (CCFN), con sede a Washington. Il suo obiettivo è chiaro: impedire che termini come “parmesan” o “asiago” siano considerati esclusiva dell’UE.
Dietro il consorzio troviamo nomi influenti come Errico Auricchio, fondatore di BelGioioso Cheese Inc., azienda statunitense che produce parmesan, burrata e asiago “made in Wisconsin” e li esporta in tutto il mondo, tranne che in Europa. Non sorprende che il CCFN spinga sul Congresso e sull’amministrazione americana per tutelare quello che loro definiscono “diritto all’uso dei nomi comuni”.
Il consorzio CCFN contesta l’applicazione delle Indicazioni Geografiche (IG) europee negli Stati Uniti perchè afferma che negli USA, termini come parmesan, mozzarella, asiago, gorgonzola e pecorino romano, sono considerati nomi comuni e non marchi protetti. Sostengono con convinzione che questi nomi non identificano più un prodotto legato a un territorio specifico, ma tipologie di prodotto che fanno parte del linguaggio culinario americano.
Il CCFN afferma, inoltre, che l’UE stia tentando di “monopolizzare nomi comuni” attraverso accordi commerciali, impedendo alle aziende americane di usare denominazioni tradizionalmente adottate sul mercato statunitense. Molti produttori statunitensi usano questi nomi da decenni e li considerano parte della loro identità produttiva e ora vedono la protezione UE come una minaccia alla loro sopravvivenza sul mercato globale.
Negli Stati Uniti, la protezione dei brand è affidata principalmente al sistema dei marchi registrati (Trademark), non alle Indicazioni Geografiche come in UE. Negli USA prevale il concetto di libera concorrenza e branding; quindi, chiunque può usare un termine generico purché non violi un marchio registrato (es. “Kraft Parmesan Cheese”).
L’UE tenta di rafforzare le difese, ma la strada è in salita
L’Unione Europea ha approvato una nuova bozza di Regolamento sulle Indicazioni Geografiche, destinato a rafforzare la protezione dei prodotti DOP e IGP. Tuttavia, la sua efficacia si limita ai confini comunitari. Fuori dall’Europa, tutto dipende da accordi bilaterali, spesso difficili da negoziare per i forti interessi economici in gioco. Ad esempio, grazie al CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), accordo di libero scambio tra Canada e Unione Europea, il Canada ha riconosciuto 41 indicazioni geografiche italiane (su un totale di 125 IG europee), che coprono oltre il 90 % del valore delle esportazioni di prodotti IG italiani in Canada. Questo significa che prodotti come Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Grana Padano, e altri possono essere venduti in Canada con la loro denominazione originale, garantendo qualità e autenticità
Nel frattempo, il Consorzio Parmigiano Reggiano ottiene alcune vittorie importanti: in Colombia è stato respinto il sesto tentativo di registrare il marchio “parmesano” e a Singapore è stato confermato che “Parmigiano Reggiano” è un’Indicazione Geografica protetta. Ma i rischi restano, soprattutto dopo la decisione di una Corte d’Appello americana che ha dichiarato “gruyere” un termine generico, aprendo scenari preoccupanti anche per le denominazioni italiane. Di recente, l’ufficio brevetti e marchi del Cile ha registrato il marchio collettivo “Piacentino Piacentina”. E per ironia della sorte, i nostri DOP non possono essere commercializzarli con le loro vere denominazioni “Coppa Piacentina, Salame Piacentino, Pancetta Piacentina”
La soluzione per contrastare l’Italian Sounding esiste: tecnologia e consapevolezza
Difendere il Made in Italy significa agire su due fronti:
1) Informazione ed educazione del consumatore, per aiutarlo a distinguere l’autentico dal falso Made in Italy.
2) Tracciabilità digitale, con strumenti innovativi come la Blockchain, per certificare la filiera e garantire trasparenza totale dal campo alla tavola.
È proprio su questo terreno che Authentico opera ogni giorno dal 2017, offrendo alle aziende una piattaforme di tracciabilità della filiera basata su Blockchain e ai consumatori uno strumento semplice e gratuito, un’app per riconoscere i veri prodotti italiani prima di acquistarli.
Chi è Errico Auricchio, il “re” del Parmesan negli USA
Errico Auricchio nasce in Italia in una famiglia storicamente legata alla produzione di formaggi. Nel 1979 emigra negli Stati Uniti e si stabilisce in Wisconsin, stato simbolo della produzione lattiero-casearia americana. Qui fonda BelGioioso Cheese Inc., oggi uno dei colossi del settore, specializzato in formaggi “all’italiana” come parmesan, asiago e burrata cheese.
Auricchio non vende in Europa, dove i nomi sono protetti da norme sulle DOP, ma il suo mercato è l’America e il resto del mondo, dove questi termini sono considerati nomi comuni.
Oggi è presidente del CCFN (Consortium for Common Food Names), un potente gruppo di lobby che combatte contro la protezione delle Indicazioni Geografiche europee, sostenendo che nomi come “parmesan” o “mozzarella” appartengano al dominio pubblico.
Due paradossi. Il primo: un imprenditore italiano in prima linea per difendere il diritto degli americani di produrre imitazioni dei formaggi italiani più famosi. Il secondo, Auricchio è parente di un altro Auricchio, che si chiama Antonio, che invece è il presidente di Afidop (Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp), l’associazione che riunisce i consorzi di tutela dei formaggi italiani a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP).
Conclusione
La sfida sul Parmesan non è una semplice disputa sul nome di un formaggio: è la battaglia per il valore del Made in Italy in un mercato globale sempre più competitivo, dove la recente applicazione dei dazi ha ulteriormente complicato lo scenario. Solo attraverso norme più forti, accordi internazionali e tecnologie per la certificazione digitale dell’origine dei prodotti sarà possibile proteggere le nostre eccellenze e garantire che dietro a un nome italiano ci sia sempre l’Italia, non necessariamente come materia prima, ma come capacità di trasformazione nelle migliori eccellenze enogastronomiche del pianeta e di garanzia di salubrità.
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