Ecco cosa sbagliamo nel marketing del cibo in USA, intervista a Letizia Airos

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Se dovessimo giudicare dai risultati, la comunicazione istituzionale e quella di alcune aziende agroalimentari italiane legata al marketing del cibo in USA ha ampi margini di miglioramento. Per approfondire quali siano gli errori comuni abbiamo intervistato un’esperta, la giornalista Letizia Airos

Letizia Airos è la direttrice e fondatrice del network multimediale “i-Italy” a New York e CEO dell’agenzia di comunicazione americana Your Italian Hub. Lavora da anni come esperta del marketing del cibo e si è data come missione quella di utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per presentare agli americani “italofili” una visione a 360 gradi dell’Italia, libera da stereotipi e luoghi comuni. E’ un impegno che la porta dunque anche a svolgere un attento lavoro di mediazione culturale. Letizia è anche attiva nel campo delle attività di promozione e delle pubbliche relazioni per istituzioni, enti culturali e imprese italiane a New York. E’ membro del comitato scientifico, nonché docente, del master sulla Governance dei Processi di Internazionalizzazione e Comunicazione del Sistema Paese, della Link Campus University di Roma.

D. Cara Letizia, tu che sei un’esperta di marketing del cibo, che ne pensi del livello della comunicazione italiana (istituzioni ed aziende) del cibo italiano in USA.  

R. Che domanda complicata? Potrei parlarne a lungo. Cerco di semplificare e andare per punti su cui invito tutti a riflettere.

Il primo problema trovo che sia nella sottovalutazione del problema stesso. Mi spiego, si tende a dare poco spazio – e risorse – all’elemento comunicazione sottovalutandolo molto. Le grandi aziende (e spesso le istituzioni) nel momento in cui diventano consapevoli dell’importanza del comunicare tendono ad affidarsi o a risorse interne (spesso non preparate) o a grandi agenzie di comunicazione non sempre disposte ad un lavoro non standardizzato e generalizzato. In sostanza non riescono a puntare su alcune caratteristiche specifiche del prodotto da promuovere, non ricorrono di conseguenza ad uno storytelling credibile e genuino, ma piuttosto stereotipato. Spesso si tratta addirittura di agenzie straniere, grandi nomi certo ma che non conoscono abbastanza il nostro Paese.

Esiste inoltre un altro aspetto che va considerato, quando la comunicazione viene gestita a distanza dall’Italia, si compie l’errore di non conoscere abbastanza la realtà ed il mercato target. L’esigenza, su cui lavoro da anni è quella di svolgere con umiltà un lavoro di attenta e scrupolosa mediazione culturale tra l’Italia, le sue specificità, e il Paese dove si intende vendere il prodotto.

L’errore più banale, ma che a volte rischia di diventare il più grave, è quello di pensare che il nostro prodotto italiano sia in assoluto e sempre il migliore del mondo e presentarlo con presunzione. Niente di più sbagliato. Non va mai sottovalutata la concorrenza e soprattutto meglio non entrare in collisione con quel senso di orgoglio che ogni Paese al mondo possiede.

Ho già accennato sopra allo storytelling, credo sia qui la chiave di successo dei nostri prodotti nel mondo. Gli americani amano il racconto. Noi abbiamo eccellenze con storia e tradizioni territoriali uniche. Impossibili da copiare. Una vera esperienza da diffondere. In tutto il mondo il Made in Italy gode di un grande fascino, raccontandolo in maniera appropriata si getta una rete per far conoscere, desiderare e poi acquistare i nostri prodotti. E’ una rete che può crescere all’infinito supportata da un racconto affascinante e soprattutto sempre unico, e irripetibile da altri competitor.

D. Cosa pensi del coinvolgimento degli chef come ambasciatori del cibo per informare i consumatori?

R. Penso che debbano essere tra i primi a trasmettere – e insieme a loro tutti gli italiani che lavorano nel campo della ristorazione, dai ristoratori ai camerieri, dai manager agli importatori – una vera esperienza italiana. Anche per loro è importante l’impatto delle storie da raccontare quando propongono i loro piatti, prodotti, servizio.E’ necessario trovare il tempo per raccontare ai clienti gli ingredienti che si apprestano a degustare appena arriverà il piatto in tavola.

D. In Italia c’è una grande attenzione per i prodotti DOP e IGP, anche perché siamo i leader a livello europeo. Ci chiediamo se gli americani percepiscono la differenza di valore di queste indicazioni geografiche europee e soprattutto se riconoscono i loghi sulle confezioni dei prodotti DOP & IGP.

R. Oddio, raramente capiscono, è qualcosa di complicato anche per molti italiani. A volte parliamo solo a noi stessi senza pensare a chi ci ascolta. Qui, ritornando alla comunicazione, occorrerebbe un lavoro di semplificazione e soprattutto una campagna che non dica esclusivamente: siamo i migliori.


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D. 2 prodotti italiani su 3 venduti al mondo sono delle imitazioni. Qual è secondo te una buona strategia per combattere l’Italian sounding.

R. Occorre una strategia educational seria, che punti al territorio da raccontare e ai valori nutrizionali dei prodotti, legata alla dieta mediterranea e all’impatto che ha sulla salute, a tutti gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale del cibo italiano. C’è una grande sensibilità all’estero su questi temi e possiamo puntarci. Insisto, il prodotto va raccontato nella sua unicità.

D. Gran parte degli investimenti italiani per la promozione del Made in Italy all’estero sono utilizzati per le fiere B2B. E’ corretta questa strategia? Cosa ne pensi?
R. Anche qui ci vorrebbe una risposta lunga.

Penso che le fiere B2B siano ovviamente importanti, il vero problema è andarci preparati a queste fiere, con una precisa strategia. A volte diventano, soprattutto per le piccole e medie imprese, solo un breve ed episodico viaggio, magari finanziato dalle istituzioni. Una vera perdita di tempo, energie, denaro. Ci vuole una strategia studiata nel tempo, con un piano creato dopo aver realmente analizzato le proprie possibilità di successo oltre che ovviamente il mercato dove si desidera entrare.

Inoltre, credo che bisogna andare oltre gli importatori e distributori ed arrivare ai consumatori che, non dimentichiamo, sono quelli che fanno le scelte di acquisto di fronte allo scaffale. E allora utilizziamo anche la tecnologia per promuovere i nostri prodotti ai futuri clienti. Ovviamente anche in questo questo caso credo sia fondamentale, dopo aver studiato il mercato di riferimento, lavorare in squadra e presentarsi come parte di un racconto generale legato al nostro Paese con tutte le sue risorse da esplorare e vivere. Agire insieme per tessere un racconto pieno di scoperte che ha un filo conduttore: il Made in Italy in tutta la sua ricchezza e specificità.


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