Covid seconda ondata, quali rischi per l’export agroalimentare Made in Italy?

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Per limitare il contagio da coronavirus, diversi Paesi europei hanno adottato restrizioni che potrebbero impattare negativamente sull’export agroalimentare italiano. Vediamo come.

Dopo i picchi toccati nei primi sette mesi del 2020, dove era stata raggiunta cifra record di 44,6 miliardi di euro dell’export Made in Italy, con un aumento del 7% rispetto al 2019, si rischia una perdita di circa 7,2 mld di esportazione agroalimentare solo in Germania, che, con la chiusura di bar e ristoranti annunciata, rende plausibile un’inversione di tendenza rispetto al 2019. Se si considera che al Paese di Angela Merkel vanno aggiunti Svizzera, Austria, Grecia e Inghilterra (quarto mercato di sbocco dell’italian food nel mondo dopo Germania, Francia e Usa) la situazione si prospetta parecchio problematica.

Difficile sarà anche la situazione in seno all’Italia, dove la chiusura anticipata alle 18 per bar e ristoranti, di certo favorisce la contrazione di consumi interni, che aveva registrato già un calo del -48% di vendite di cibi e bevande al settore ristorazione rispetto all’anno precedente.

Tutto questo potrebbe innescare un effetto domino che si ripercuote su tutta la filiera.

“Per fronteggiare gli effetti della pandemia sull’export vanno aiutate le imprese a superare questo difficile momento e va preparata la ripresa con un piano straordinario di internazionalizzazione con la creazione di nuovi canali e una massiccia campagna di comunicazione per le produzioni 100% Made in Italy.” Questo ciò che afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo con il sostegno delle Ambasciate dove vanno introdotti anche adeguati principi di valutazione delle attività legati, per esempio, al numero dei contratti commerciali”.