2021 anno nero per la frutta: l’effetto clima sulla produzione Made in Italy e nelle tasche degli italiani

2021 ANNO NERO PER LA FRUTTA

La crisi che affligge il comparto fruttifero fa registrare un calo del 40% della produzione. Danni per 1,6 miliardi registrano il 2021 come quello che è stato definito l’anno nero per la frutta. Ripercussioni sulla qualità ma anche sulla spesa degli italiani.

Anno nero per la frutta come per l’agricoltura, nonostante i primati toccati quest’anno dal comparto agroalimentare. Le produzioni sono quasi dimezzate e ne risente anche la qualità, questo il bilancio di due anni terribili per produzioni come quelle delle pesche, albicocche, kiwi, susine e pere. Tutte le colture risentono dell’impatto del cambiamento climatico. Secondo il “Rapporto dell’Osservatorio Città Clima” di Legambiente solo nell’ultimo anno sono stati registrati 133 eventi climatici estremi. Nubifragi, grandinate, ondate di calore, trombe d’aria, fenomeni aumentati di quasi il 18% rispetto all’anno precedente. Tutta l’agricoltura, si stima, abbia ricevuto un danno di circa 14 miliardi di euro. Non era mai successo prima che gli eventi climatici colpissero tutti i bacini produttivi arrecando danni ingenti a livello nazionale. Solo mele ed agrumi sembrano uscire quasi indenni dalle gelate anomale. Quali saranno le conseguenze per le famiglie italiane, in termini di qualità di ciò che acquisteranno e di prezzo, che inevitabilmente tenderà a salire?

Perdita di lavoro e carrello costoso

Alcune zone hanno affrontato per il secondo anno consecutivo le conseguenze del cambiamento climatico, con i mesi di gelate quando i frutti erano solo gemme e quindi erano nella fase più delicata.

Secondo i dati dell’associazione di consumatori no-profit “Consumerismo”, frutta e verdura sono i generi alimentari che stanno subendo i rincari più pesanti. Tra questi, hanno registrato i maggiori aumenti su base annua: banane (+70%), funghi (+60%), patate (+35%), pere e zucche (+25%). Sui mercati ortofrutticoli all’ingrosso, inoltre, ci sono stati rialzi significativi per carote (fino al +25% su Roma), cachi (+68% Torino), cavoli (+20% Roma), cicoria (+43% Bologna), castagne (+22% Roma).

Il settore ortofrutticolo nazionale garantisce all’Italia 440mila posti di lavoro, pari al 40% del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro all’anno tra fresco e trasformato, grazie all’attività di oltre 300mila aziende agricole, su più di un milione di ettari coltivati. I danni perpetrati dal maltempo con conseguente calo delle produzioni mette a rischio il settore anche a livello occupazionale.

C’è anche chi ci vede un’opportunità

Se da un lato la tropicalizzazione del clima non agevola la tradizionale filiera agroalimentare italiana, ha reso possibile la coltura di frutti esotici sul territorio italiano. Ecco allora il proliferare nei supermercati di papaya, mango, avocado e passion fruit, coltivati soprattutto in Sicilia. Coltivazioni queste, che sono raddoppiate negli ultimi tre anni e che stanno soppiantando altre colture come gli agrumi. Questo fenomeno, se da un lato potrebbe limitare le importazioni estere di frutti esotici (insostenibili a livello ambientale), dall’altro potrebbe costituire una minaccia per la nostra biodiversità.

Da dove arriva la frutta che mangiano gli italiani?

Dal 2020 sull’intero comparto si sta verificando un trend iniziato con gli agrumi, meno export più import. Sono infatti i paesi del Mediterraneo, Marocco in primis, i maggiori paesi da cui importiamo circa 61.000 tonnellate di agrumi, più o meno il 22% del totale. 1200 tonnellate provengono da Israele, ma potrebbero diminuire se la produzione spagnola dovesse crescere. Il pericolo è rappresentato anche dai costi (molto più bassi dei nostri) e dai protocolli diversi a cui sono sottoposte le importazioni di Messico, Stati Uniti, Cina e Australia. Le esportazioni italiane di qualità costano di più, per la miglior qualità ma anche per maggiori costi di raccolta (mancata meccanizzazione) e questo influisce negativamente sulla nostra competitività.


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La pera: il simbolo dell’anno nero per la frutta

I danni negli ultimi tre anni al raccolto della pera ci danno una chiara proiezione di quelli che sono le perdite subite nel settore. Gli agricoltori, infatti, si sono trovati a fronteggiare in particolare in questo caso, l’ azione distruttiva dei cambiamenti climatici, i danni della cimice asiatica e la  maculatura bruna. “L’Emilia Romagna, che tradizionalmente rappresenta il 70% della produzione nazionale, ha prodotto 5-6 tonnellate per ettaro, contro le 20-30 tonnellate prodotte in tempi normali”, spiega Davide Vernocchi di Alleanza Cooperative.

Si instaura così un circolo vizioso, poiché la scarsa redditività provoca una progressiva riduzione delle superfici coltivabili. L’Emilia Romagna ad esempio, ha perso la metà dei suoi pereti, che sono stati poi destinati a produzione di cereali.

Il timore adesso è che l’export della frutta, che nei primi sei mesi dell’anno è comunque rimasto saldo, con valori in crescita a 2,6 miliardi di euro, possa subire una battuta d’arresto e che sul mercato interno possano consolidarsi trend in crescita come quello della frutta esotica che, ricordiamo, hanno un bisogno idrico maggiore rispetto alle nostre colture tipiche.

L’unica speranza è che vengano messe in atto modifiche immediate per invertire le tendenze, altrimenti, chissà cosa troveremo sulle nostre tavole tra 10 anni.


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