Quali sono le 3 occasioni mancate della cucina italiana secondo gli esperti?

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Nella settimana della cucina italiana nel mondo si discute su quali siano le tre occasioni mancate con il parere di 9 autorevoli addetti ai lavori

Un articolo del Gambero Rosso indaga con gli esperti del settore enogastronomico quali sono le occasioni mancate della cucina italiana. L’obiettivo è riflettere e capire come rafforzare oggi l’egemonia della cucina italiana nel mondo.

Le 3 occasioni mancate della cucina italiana secondo:

 

Nicola Perullo (Professore di Filosofia del cibo ed Estetica del gusto all’Università di Pollenzo)

1. L’incapacità di riconoscere che un canone, una storia, una cultura incipienti – perché questa era la situazione alla metà degli anni ’80, l’impressione di un inizio – si costituiscono piano e lentamente. Con lavoro, fatica, studio. C’è stata un’accelerazione esponenziale: successo, fama, voglia immediata di risultati, in ogni senso.

2. Al secondo punto metto una critica alla critica. Mi dispiace dirlo, ma la critica gastronomica italiana è, mediamente e naturalmente con eccezioni, di una grettezza e ignoranza notevoli. Non sul cibo, ma su tutto il resto, e quindi anche sul cibo, che da solo, come ogni cosa presa di per sé, non dice nulla. Invece si è sviluppata una critica manieristica che ha descritto piatti d’autore come fossero di per sé espressioni autonome e significative, cosa che non è.

3. Eccesso di autoreferenzialità. I cuochi cucinano, non devono fare la critica. Tuttavia, anche qui si è assistito a un meccanismo regressivo, per via della velocità e dell’avidità di successo. Però, lo sappiamo bene, lo star system è bello finché dura; e caratteristica dello star system è che dura poco: brucia subito i suoi eroi. Dunque secondo me l’enogastronomia italiana è autoreferenziale proprio per questo: per non esserlo, bisogna guardare fuori dal proprio campo. Cioè sapere molte cose, studiare, sapersi isolare, fregarsene delle pubbliche relazioni, essere coraggiosi, smettere di fare le lobbyne. Dal boom degli anni ’90 si è dunque persa una grande occasione: troppi congressi inutili, convegni senza senso, celebrazioni di sé e dei propri amici, ammiccamenti continui al pubblico pagante. Ora se ne pagano le conseguenze: si rimane con poco, un pugno di mosche in mano.

 

Alfonso Isinelli (Perito agrario con specializzazione in enologia e critico gastronomico)

1. Non aver fatto squadra nel comparto. Ancora peggio nel campo della ristorazione. Ancora oggi ci presentiamo sparsi agli eventi all’estero. Pronti più a litigare che a fare gruppo. E le istituzioni in questo hanno contribuito con la loro assenza.

2. Aver fatto diventare il km 0 vuota retorica, invece di valorizzare le nostre materie prime e la loro elaborazione. E questo ha fatto sì che l’italian sounding della nostra cucina nel mondo, sia rimasto legato a degli stereotipi, senza essere riusciti a fare una codifica delle ricette e degli stilemi della cucina italiana.

3. Al netto di lamenti e iniziative estemporanee, non essere riusciti ancora a far compiere l’adeguato salto di qualità alla sala.

 

Fabio Parasecoli (Professore di Food Studies alla New York University)

1. L’avere ignorato la natura storicamente multietnica del cibo in Italia, cercando invece di creare un’identità nazionale che, sebbene fondata sulle differenze e tradizioni locali, crea chiari confini fra “noi” e “gli altri”. Per cui le altre tradizioni etniche (francesi, tedesche, slovene, etc) vengono esaminate nella loro differenza piuttosto che nelle reciproche influenze.

2. La mancanza nell’educazione culinaria professionale di corsi avanzati che puntino non tanto alla conoscenza di ingredienti, tecniche e ricette (che sono fondamentali), ma a studiare creatività e innovazione. Un po’ come sta cercando di fare Adrià… Certo, gli studenti prima devono imparare a cucinare bene, ma anche professionisti affermati potrebbero approfittare di un’educazione alla ricerca e all’esplorazione creativa. C’è ancora molto il concetto dello chef come artista/genio, che ha quindi la creatività innata. Quella che non si può studiare.

3. La scarsa apertura verso un’effettiva contaminazione con le cucine straniere. Grandi chef adottano qualche tecnica o qualche sapore qui e lì, ma non credo che esista ancora una fusion italiana. Ce n’è bisogno? Non ne sono sicuro. Ma in ogni caso è una dinamica mancante.

 

Igles Corelli (Chef e Coordinatore del Comitato Scientifico di Gambero Rosso)

1 . La più importante è stato aver dimenticato il “chilometro Italia” per correre dietro al km0. È stata ideologizzata la cucina di territorio. Ma è assurdo chiudersi nel proprio orticello quando in Italia abbiamo centinaia di grandissimi prodotti.

2 . La rincorsa delle mode straniere senza esserci mai concentrati sulla cucina italiana. Diceva Bocuse:“Quando gli italiani prenderanno coscienza della loro cucina, non ce ne sarà per nessuno al mondo”. Non ne abbiamo mai preso coscienza.

3 . Aver legato il ristorante alla presenza del cuoco che firma la cucina. Ciò limita il lavoro del cuoco, la possibilità di impresa e la trasmissione del know how.

 

Andrea Petrini (Ideatore di Gelinaz)

1. Nei tardi Anni Settanta un’occasione decisamente mancata è stata la sudditanza provinciale e folkloristica alla Nouvelle Cuisine d’importazione francofila

2. Nei tardi Anni Novanta, invece, l’ossequienza del dogma technoemozionale spagnoleggiante. Invece di riflettere, si sono scambiati degli stimoli come fossero una religione da seguire in maniera fondamentalista.

3. E negli ultimi anni un’occasione mancata sono le parole d’ordine masticate sino a svuotarle di senso (il famigerato km zero, il sapore del terroir…), la miopia delle prospettive e la cucina considerata solo come Cosa Culinaria e non come parte di un progetto di vita più ampio.

 

Allan Bay (Giornalista gastronomico)

1. La mistica della nonna e i suoi eccessi. La tiritera della cucina di casa che tranquillizza, così il nuovo è per definizione alieno.

2. Una davvero troppo scarsa conoscenza delle tecniche moderniste (microonde, teflon, sifone, pacojet), quelle che devi studiare molto per capirle davvero, quelle che costano tempo e fatica.

3. Il mito dell’abbuffata che è ancora con noi. Forse siamo usciti da troppo poco tempo dalla fame storica, ma ancora pensiamo che tanto è meglio. E questo ha conseguenze.

Marino Niola (Giornalista gastronomico)

1. Non essere ancora riusciti a trasformare i grandi chef (e ne abbiamo tanti) in ambasciatori mondiali della cucina italiana.

2. Non aver sfruttato a dovere i nostri giacimenti di “petrolio verde”: i grandi prodotti dell’agroalimentare italiano. Ci sono i prodotti, manca la capacità di raccontarli. L’Italia è fortissima nel produrre sapori e biodiversità, ma sulla comunicazione del cibo siamo al Giurassico: questo anche per forti demeriti formativi.

3. Non aver ancora cominciato a diffondere una vera cultura del cibo. Alla fine, nonostante le mille chiacchiere, manca la cultura del cibo.

 

Edoardo Raspelli (Giornalista e gastronomo)

1. Sarà pure perché mancano soldi, ma lo Stato e i suoi Governi hanno perso l’occasione per valorizzare, anche con investimenti, le scuole alberghiere che con poche eccezioni sono – come erano – il ricettacolo di chi non vuole studiare.

2 . I media hanno perso la possibilità di valorizzare la professionalità di validi cuochi e ristoratori: emergono prime donne e pochi chef che condizionano, spesso con piatti improponibili, anche i loro colleghi. Idem per locali: tutti parlano di Oldani o Bottura e non cercano ristoranti buoni alla portata di tutti.

3 . Depositai alla Camera di commercio di Milano lo slogan delle tre T (Terra Territorio e Tradizione) che avrebbe dovuto stimolare ristoranti e locali all’utilizzo dei prodotti del territorio. Non aver spinto su questi elementi è stata una grande occasione mancata.

 

Paolo Marchi (Giornalista gastronomico e ideatore di Identità Golose)

1. Ci siamo dimenticati che esiste il mondo. Non siamo riusciti a industrializzare la pizza o il caffè e li abbiamo lasciati agli altri. Per scoprire poi che la pizza era diventata americana e l’espresso pure.

2. Quando ci fu la fusione Gambero-Espresso, era il momento di andare a dare il voto alla ristorazione italiana nel mondo non solo di criticare i casi di mala-cucina all’estero. L’hanno fatto i francesi con la Michelin che han dato le loro stelle nel mondo. E in Italia i cuochi oggi si mettono al servizio della guida francese dimenticando a volte la nostra identità.

3. Giusto glorificare tradizione e prodotto e la cucina della nonna, ma alla fine è Bottura oggi a parlare di Italia nel mondo. Le tradizioni – pizza, spaghetti e tiramisù – oggi le fanno anche gli altri. Abbiamo un potenziale pazzesco, ma non siamo riusciti a imporre un sistema della cucina italiana come la Ferrari nel mondo dell’auto.

 

Fonte: Gambero Rosso

 

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