Se l’Europa cambia i marchi DOP e IGP…

dop e igp nuova riforma europea

Squadra che vince non si cambia! Anzi no, ecco una nuova proposta europea per riformare i marchi DOP e IGP per bevande alcoliche, vini e prodotti agricoli. Italia e Spagna non convinte. Pro o contro?

La Commissione europea sta proponendo la revisione di marchi a Indicazione Protetta DOP e IGP a beneficio dell’economia rurale, con lo scopo di aumentare la diffusione e la protezione delle indicazioni geografiche dell’Unione europea. Stiamo parlando di ben 3.458 nomi: 1.576 prodotti alimentari e agroalimentari, 1.624 vini e 258 bevande alcoliche. Vendite che valgono circa 74,76 miliardi di euro all’anno, di cui oltre un quinto è connesso alle esportazioni al di fuori dell’Unione europea. Una decisione del genere non manca di ricevere apprezzamenti, sebbene ci sia anche un ventaglio di critiche correlate. L’Italia in primis, che nutre un forte timore di mettere in gioco i suoi 843 prodotti che da soli valgono all’Italia 16,6 miliardi di euro.

Perché c’è bisogno di una riforma?

Il sistema delle indicazioni geografiche, sebbene abbia efficacemente valorizzato i prodotti dell’unione Europea risente, secondo la Commissione, di importanti limiti. Le norme di sistema non sempre sono state applicate in maniera scrupolosa e, per di più, non tutti i consumatori degli Stati membri hanno sempre avuto piena consapevolezza di cosa significasse, in termini di valore, la denominazione di un marchio. Inoltre, la marcata attenzione dei consumatori nei confronti della sostenibilità ambientale richiede un’integrazione

L’intento della Commissione europea, dunque, è quello di semplificare ed abbreviare le procedure di riconoscimento, incrementare la tutela, soprattutto per quanto riguarda l’online, dare più attenzione alla sostenibilità e più poteri alle associazioni di produttori.

La riforma IG prevede, in pratica e nello specifico, di armonizzare le richieste di riconoscimento sia dai paesi Ue che non UE, per rendere più breve la procedura burocratica tra la presentazione della domanda e la registrazione; di rafforzare la tutela e i controlli sulle piattaforme di vendita online e il loro utilizzo in malafede sulle piattaforme di dominio; di valorizzare le iniziative dei produttori, sempre in ottica del From Farm to Fork , in materia di sostenibilità ambientale, economica e sociale all’interno dei propri disciplinari di produzione.


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Perché l’Italia ha dubbi sulla riforma IG?

Senza dubbio, gli obiettivi della riforma sono ampiamente condivisibili. Quello che più insinua perplessità sono le nuove procedure. In particolar modo è da precisare il ruolo che si intende affidare all’agenzia Euipo, ovvero l’Uffico Europeo per la Proprietà intellettuale, nella fase di esamina delle candidature. Al momento questo compito è affidato all’interlocuzione tra Stato membro e la Direzione Generale dell’Agricoltura della Commissione Europea. A marzo 12 governi europei, insieme all’Italia si erano detti contrari ad affidare un ruolo così importante ad un’agenzia esterna che potrebbe non garantire un alto livello di competenza e responsabilità sulla valutazione di DOP e IGP. Il sistema di qualità europeo dovrebbe poi, essere gestito dai Consorzi che dovrebbero essere rafforzati in questo senso ma che non hanno per il momento ricevuto le dovute attenzioni dalla riforma. La stessa mancanza di attenzione riguarda anche le iniziative che i consorzi possono mettere in atto per evitare che la grande distribuzione utilizzi DOP e IGP per le proprie politiche promozionali.

Il made in Italy cosa rischia?

Il problema che tocca da vicino il Made in Italy, con le sue 843 referenze, riguarda in special modo la tutela. Per evitare un altro caso Prosek è necessario che la riforma chiarisca meglio il divieto di evocazione sancito dalla Corte Ue. Si rischia che uno Stato membro sia autorizzato ad usare una menzione generica protetta con una denominazione in un altro Stato membro. Insomma va evitata una menzione generica. Senza dimenticare che alla tutela del sistema delle DOP e IGP è strettamente correlata la lotta al falso Made in Italy che (è bene sempre ricordare) in tutto il mondo vale 100 miliardi di euro. E non conta solo il valore economico ma il patrimonio identitario e culturale del Belpaese.

A questo punto una domanda è lecita: snellire le procedure e facilitare le autorizzazioni è la scelta giusta per mantenere un alto standard di produzione, come lo è quello italiano?


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