La sostenibilità alla prova della realtà: tra ambizioni climatiche e limiti operativi

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La sostenibilità piace ai consumatori, ma sono in pochi quelli disposti a pagare di più per un prodotto che abbia un impatto etico sull’ambiente. Le imprese hanno capito che il consumatore vuole sostenibilità, ma alla cassa vuole l’offerta.

Il Green Deal europeo, annunciato nel 2019 con l’ambizione di rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, sta attraversando una fase piuttosto critica. Non si tratta di un abbandono delle politiche ambientali, ma di un confronto sempre più evidente tra obiettivi dichiarati e capacità reale di implementazione.

Lo scenario politico: dalla maggioranza verde alla pragmatica “realpolitik”

Il contesto politico europeo è mutato radicalmente rispetto al 2019. Il Parlamento Europeo uscito dalle elezioni del 2024 ha visto crescere l’influenza di forze più scettiche verso le politiche climatiche. Il Partito Popolare Europeo, principale gruppo della maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen, ha iniziato a votare in coalizione con i Conservatori e Riformisti europei su temi ambientali, mentre i Verdi hanno perso la posizione di rilievo che avevano nella precedente legislatura.

La Commissione, ad esempio, ha di fatto rinviato il pacchetto sulla riduzione dei pesticidi, annacquato la normativa sulla deforestazione, escluso le emissioni dell’agricoltura intensiva dagli obiettivi climatici per il 2040. Mentre alcuni Paesi membri rinviano lo stop alle auto Diesel Euro 5.

L’effetto Trump: un cambio di paradigma globale

L’elezione di Donald Trump ha accentuato questa dinamica. Dal 20 gennaio 2025, la nuova amministrazione statunitense ha congelato i finanziamenti dell’Inflation Reduction Act (oltre 300 miliardi di dollari per le infrastrutture verdi), ritirato nuovamente gli USA dall’Accordo di Parigi, revocato 4 miliardi di dollari promessi al Green Climate Fund dell’ONU. Il messaggio è chiaro: la sostenibilità non è più una priorità geopolitica per Washington.

L’effetto a valanga sull’intero settore alimentare globale è significativo. Materie prime come soia, cacao, caffè, legno e olio di palma – tutte coperte dall’EUDR – rappresentano asset strategici per l’industria food. I rinvii creano incertezza per aziende che hanno già investito in sistemi di tracciabilità, mentre l’assenza di standard condivisi a livello globale rischia di frammentare le supply chain. 

Il nodo tecnologico: quando i sistemi non reggono

L’esempio più emblematico riguarda L’EUDR (normativa europea anti-deforestazione). A settembre 2025, la Commissione Europea ha proposto un ulteriore rinvio di un anno dell’entrata in vigore, portando la scadenza al 30 dicembre 2026 per le medie e piccole imprese. La motivazione ufficiale è tecnica: il sistema informatico TRACES, pensato per gestire la tracciabilità dei prodotti, non è in grado di sostenere il volume previsto di transazioni. Non si tratta di un’eccezione isolata. Il Digital Product Passport, altro pilastro della strategia europea per la tracciabilità e l’economia circolare, ha visto il suo cronoprogramma estendersi fino al 2027, con fasi di implementazione che procedono a rilento tra standard armonizzati da definire e registri ancora da costruire.

Questi ritardi rivelano un problema strutturale: l’architettura digitale su cui dovrebbe poggiare la transizione verde non è all’altezza delle ambizioni normative. Gli enti di controllo nazionali mostrano livelli di preparazione disomogenei, creando un mosaico di capacità operative che complica ulteriormente l’applicazione uniforme delle direttive. 

Un equilibrio fragile

La sfida per l’Europa è trovare un equilibrio tra ambizioni climatiche e sostenibilità economica delle imprese. Il Green Deal non è morto, ma sta subendo una metamorfosi: da bandiera ideologica a strumento di politica industriale. Le aziende che hanno puntato sulla sostenibilità come vantaggio competitivo si trovano ora a dover giustificare investimenti in un contesto normativo instabile.

La domanda è se questo rallentamento sia una pausa tattica per riprendere fiato o l’inizio di un ripensamento strategico più profondo. La risposta arriverà nei prossimi mesi, quando diventerà chiaro se l’Europa saprà mantenere la leadership climatica o se cederà alle pressioni di una competizione globale sempre più sbilanciata a oriente e occidente verso la crescita economica a breve termine. Ad oggi, in un contesto di crisi economica, tra guerre ed inflazione, sembra prevalere il famoso adagio latino: “Primum vivere, deinde philosophari”.

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