Perché gli influencer del cibo hanno vita breve

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Per quanto tempo ancora gli influencer del cibo riusciranno a condizionare un consumatore che oscilla tra eccesso di egocentrismo e attenzione ai valori…

Oggi gli influencer del cibo devono competere con un consumatore super egocentrico che mette al centro i suoi desideri e il proprio benessere fisico e che, anche nelle scelte in apparenza filantropiche, cerca in realtà solo un beneficio per se stesso.

Anni di campagne pubblicitarie che esaltavano il valore dei consumatori (io valgo) e la centralità del cliente (tutto intorno a te) stanno sortendo effetti collaterali in quella che è stata definita l’epoca dell’«Egopower».

È questo lo scenario che emerge dall’ultimo rapporto di Censis e Conad sul settore dei consumi, intitolato “I miti dei consumi, il consumo dei miti”. L’indagine, partendo dall’analisi dei trend di acquisto degli ultimi anni, ha analizzato le motivazioni e i sentimenti che guidano le nuove scelte di acquisto degli italiani e che sfida l’influencer marketing.

I dati della ricerca disegnano un paese di consumatori schizofrenici dove crescono gli acquisti low cost nei discount, alla caccia continua di offerte e promozioni, e al tempo stesso aumentano gli acquisti dei prodotti più costosi, di fascia Premium o in edizioni limitate. In un contesto di stagnazione dei consumi che sembra non avere fine, si registra paradossalmente un aumento degli acquisti di prodotti “privilegiati”, in quanto più costosi della media, come il bio, che registra un +8% nel periodo tra gennaio 2017 e agosto 2018, i prodotti “free from”, come quelli senza lattosio (+8,5%), i superfood a base di fibra e cereali (+3,1%) e quelli con gli integratori (+3,3%).

Se, come risulta dal rapporto Censis Conad, il 90% degli italiani non ha un modello a cui ispirarsi e sempre più giovani sono convinti che chiunque può diventare famoso, ne consegue che, mancando i punti di riferimento risulta più facile ridurre la realtà ad un semplice concetto: il mio mito sono io. Con buona pace dei top influencer.

Siamo di fronte ad un “sovranismo alimentare”, come lo definisce argutamente Francesco Pugliese, AD di Conad: «I cambiamenti che mettono al centro l’io si possono spingere sia in positivo che in negativo, perciò bisogna saper comporre il prodotto distributivo in questa direzione. Il sovranismo alimentare è pericoloso se diventa ideologico, perché spingendo troppo in quella direzione il confine di “ciò che mi è vicino” diventa difficile da stabilire».

La mancanza di modelli a cui ispirarsi si traduce in egotismo, un consumatore che rifugge e diffida della pubblicità e che ha una scarsa considerazione anche dei food influencer e food blogger, considerati markettari, e preferisce affidarsi al proprio insindacabile giudizio. Si finisce per non fidarsi più di nessuno se non di se stessi. Quando cade la fiducia negli esperti si crea il terreno fertile per le «fake news» diffuse ad arte dai social influencer.

Le scelte identitarie di questo target di consumatori hanno senso soltanto se condivise con quante più persone possibile attraverso i social network. Se tutti ci crediamo food influencer nessuno è realmente un influencer del cibo.

C’è speranza per il destino dei food blogger ?

In questo scenario preoccupante, assistiamo anche ad una crescente categoria di consumatori che è orientata a prendersi cura di sé scegliendo cibi sani, prodotti 100% Made in Italy, eccellenze agroalimentari dove identificarsi con valori come tracciabilità e sostenibilità. Prodotti per i quali sono disposti a spendere di più e che consentono di esprimere se stessi attraverso le proprie scelte di acquisto, convinti di manifestare la propria opinione e contribuire, con i propri consumi, a cambiare il mondo.

La sfida per le aziende, e per tutti gli attori della filiera agroalimentare, è quella di saper cogliere queste tendenze ed impegnarsi a trasformare un io individuale in un modello collettivo, che porti alla crescita economica. È evidente che si tratta di una sfida culturale e sociale, e non solo economica, nella quale le aziende devono mettersi in gioco, consentire di verificare la tracciabilità dei propri prodotti; riuscire a costruire una narrazione autentica capace di intercettare quei valori positivi come: etica, sostenibilità e trasparenza. Valori in cui credono sempre più consumatori e nei quali si identificano come individui. L’era dei food blogger non è arrivata al capolinea, sopravviveranno solo coloro che sapranno esprimere l’autenticità delle loro segnalazioni.

Viviamo una nuova era dove i consumi non sono più soltanto una variabile economica, ma un fattore identitario, attraverso cui esprimere i propri principi. Insomma siamo quello che mangiamo, o forse sarebbe meglio dire, siamo quello che mettiamo nel carrello del supermercato.

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