Obbligo indicazione sede stabilimento in etichetta: la grande falla del decreto

Obbligo indicazione sede stabilimento in etichetta: la grande falla del decreto

Il 5 aprile 2018 è entrato in vigore il decreto sull’ indicazione dello stabilimento di produzione o confezionamento dei prodotti alimentari. Sicuramente più informazioni per i consumatori italiani, ma nessuna tutela all’estero contro le imitazioni. Un’altra incredibile pecca legislativa

Indicare sulle etichette degli alimenti la località e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento (se l’alimento è confezionato in uno stabilimento diverso da quello dove è stato prodotto): è quanto impone il Decreto Legislativo n. 145, 15 settembre 2017, a partire dal 5 aprile scorso. Una promessa diventata realtà, che vuole garantire una corretta e completa informazione al consumatore e la rintracciabilità dell’alimento da parte degli organi di controllo.

L’obbligo riguarda i prodotti alimentari Made in Italy destinati “solo al mercato italiano”, mentre non vi è alcun vincolo per quelli destinati all’estero. Con questo provvedimento il Governo intenderebbe anche tutelare il Made in Italy e preservare la tradizione agroalimentare del nostro Paese, a beneficio naturalmente dei consumatori e dei produttori (italiani).

Sono previste, inoltre, sanzioni da 1.000 a 15.000 €  per chi non indica la sede dello stabilimento, per le etichette non leggibili o nel caso in cui l’impresa che dispone di più stabilimenti non evidenzi quello effettivo, mediante punzonatura o altro segno. La competenza per il controllo del rispetto della norma e l’applicazione delle eventuali sanzioni spetta all’Ispettorato repressione frodi (ICQRF). Il 50% dei proventi delle multe saranno destinati al miglioramento delle attività di controllo del MiPAAF (35%) e per quelle del Ministero della Salute (15%).

In particolare il provvedimento fa riferimento agli alimenti preimballati in Italia di cui l’ultima trasformazione è avvenuta nel nostro territorio, anche se gli ingredienti di origine o l’ingrediente primario provengono dall’estero, agli alimenti confezionati in Italia, anche se sono stati fabbricati in altri paesi europei ed extraeuropei (in questo caso si deve precisare il paese di origine) e agli alimenti preimballati extraeuropei venduti in Italia, novità molto importante per i consumatori.

Potremmo dire bene, ma non benissimo. Siamo di fronte all’ennesimo pastrocchio legislativo che, forse, intende tutelare interessi comunitari ma, a giudicare dalle esclusioni, ancora di più quelli extracomunitari. Infatti la legge non si applica ai prodotti italiani destinati all’estero (UE ed extra-UE) e, inoltre, l’articolo 7 specifica che sono altresì esclusi i prodotti alimentari “legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’UE o in Turchia o fabbricati in uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE)”.
Ci chiediamo perchè queste esclusioni proprio all’estero, dove le eccellenze del Made in Italy hanno bisogno di maggior tutela. 
È evidente che la solita focalizzazione sul mercato interno e una forte miopia sul mercato estero, che è quello che ha maggiori potenzialità di crescita in volume e, soprattutto, in valore.

Per far crescere l’export dell’agroalimentare italiano e conquistare nuovi mercati è necessario che la battaglia per la tutela del Made in Italy sia unitaria e condotta in tutto il mondo, soprattutto nei paesi dove il fenomeno Italian Sounding è molto diffuso. Conoscere lo stabilimento produttivo di un alimento è essenziale per il consumatore, ma è anche un importante elemento che consente di distinguere i prodotti autentici dai tarocchi fake, prodotti fuori dal Belpaese.

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Far sapere che un prodotto proviene da un luogo, anziché da un altro, è fondamentale per assicurare un’informazione completa e trasparente che incontri le esigenze dei consumatori moderni e che gli consenta di poter scegliere la qualità che desidera.

 

Un consumatore che, però, ancor di più all’estero ha bisogno di essere aiutato: perchè se è disposto a spendere di più per un prodotto italiano e desidera conoscere l’origine delle materie prime, quando è di fronte allo scaffale è distratto e fortemente attratto da una semplice bandiera italiana.Una “zottarella” o un “parmesan”, con tanto di tricolore, possono infatti facilmente ingannare chi non conosce il prodotto autentico. Sfruttando nomi che richiamano le eccellenze alimentari italiane (l’Italian Sounding), questi tarocchi possono fuorviare i consumatori in cerca del vero Made in Italy, che invece potrebbero avere maggiori informazioni con l’indicazione dello stabilimento in etichetta.

Noi di Authentico non sappiamo in che misura le indicazioni sulle etichette possano realmente incidere sulla tutela e sulla scelta dei consumatori, ma siamo invece pienamente convinti che la modalità di comunicazione e l‘informazione ai consumatori siano le migliori armi per la difesa del Made in Italy e per lotta alle imitazioni delle nostre eccellenze.

Per questo abbiamo creato una soluzione innovativa che supera i limiti delle etichette, un’app che aiuta i consumatori di tutto il mondo a riconoscere i veri prodotti italiani in modo semplice ed immediato e a segnalare quelli fake.