Parmesan: 50 milioni di mancati incassi per il Parmigiano Reggiano

Gli americani pensano che il Parmesan sia italiano. Necessarie norme più chiare e una forte azione per contrastare il fenomeno Italian Sounding

Il 67% degli americani è convinto che una confezione di Parmesan, con simboli che richiamano l’Italia, sia autentico. Il dato emerge da uno studio, commissionato dal Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, che si è avvalso anche di test effettuati sul campo in diversi negozi americani. Chiedendo ai consumatori americani il loro parere sui prodotti contraffatti, il 38% degli intervistati ha indicato addirittura il Parmesan come un prodotto di provenienza italiana.

“Purtroppo, negli Stati Uniti, non esiste una tutela delle indicazioni geografiche. A oggi, il nome parmesan viene inteso come termine generico – afferma il Presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano Nicola Bertinelli – Il nostro obiettivo sarà quello di dimostrare che la parola parmesan costituisce un’evocazione della denominazione Parmigiano Reggiano e che il suo uso per formaggi non conformi al disciplinare costituisce un’infrazione alla nostra DOP. La battaglia non sarà semplice, ma abbiamo dalla nostra parte sentenze importanti, come quella della Corte di Giustizia Europea contro la Germania che ha sancito che l’uso del termine per formaggi non conformi al disciplinare della DOP Parmigiano Reggiano costituisce una violazione della legge europea”.

Di questa situazione se ne è parlato al convegno “Produzione alimentare e sfide del commercio internazionale” che si è tenuto a Parma, alla presenza di Antonio Tajani, Presidente del Parlamento europeo e Luigi Scordamaglia, presidente Federalimentare, e che ha visto la partecipazione di importanti realtà imprenditoriali del settore alimentare.

Il mercato americano rappresenta per i produttori del più famoso formaggio italiano il primo mercato per l’export con oltre 10 mila tonnellate di prodotto esportato, che corrispondono a 250 mila forme, per un valore di oltre 110 milioni di euro. Norme più chiare e una forte azione contro il fenomeno Italian Sounding consentirebbero di aumentare l’export di oltre 50 milioni di euro.

Negli ultimi anni, il Consorzio ha lavorato per fare chiarezza, puntando il dito verso le pratiche commerciali ingannevoli nei confronti del consumatore. Un recente studio, che ha coinvolto 1.200 consumatori statunitensi, ha dimostrato che per il 66% degli intervistati il termine parmesan non è affatto generico – come sostengono, invece, le industrie casearie americane – ma identifica un formaggio duro con una precisa provenienza geografica che il 90% degli intervistati indica senza alcun dubbio nell’Italia.

“Norme più chiare e trasparenti ci permetterebbero di aumentare sensibilmente il nostro mercato. Crescita che possiamo stimare in circa 120.000 forme per un valore che supera i 50 milioni di euro – continua Bertinelli – Il Consorzio continuerà a fare la sua parte facendo cultura di prodotto e attività di vigilanza. Ma, per raggiungere i nostri obiettivi, abbiamo bisogno che la politica ci dia una mano. Occorre lavorare a negoziati che puntino al riconoscimento di indicazioni geografiche come valore globale dello sviluppo agricolo. Norme in grado di eliminare le pratiche ingannevoli per il consumatore, in particolare l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evochino l’Italia per pubblicizzare prodotti affatto riconducibili al nostro Paese, la forma più sfacciata di concorrenza sleale e truffa nei confronti dei consumatori nel settore agroalimentare” ha concluso Nicola Bertinelli

Negli USA il Consorzio ha registrato “Parmigiano Reggiano” come certification mark e, grazie a questo strumento, tutela il prodotto attraverso attività di vigilanza di mercato ed azioni legali. Nonostante la scarsa protezione e la concorrenza sleale del Parmesan e dell’Italian Sounding, l’export è cresciuto in maniera significativa negli ultimi anni.

“In questi giorni si è dibattuto molto sul CETA, mettendo in evidenza gli aspetti positivi – la protezione dalle imitazioni analoga a quella offerta dal diritto dell’Unione – e i limiti dell’accordo, che ancora non tutela sufficientemente i prodotti italiani, facendoli coesistere con le imitazioni sul mercato” ha concluso Nicola Bertinelli.